Nino Materi per “il Giornale”
Sinisa si fidava di loro. Un rapporto che era diventato negli anni sempre più stretto e confidenziale. Nulla a che fare con la freddezza medico-paziente che spesso, purtroppo, caratterizza gran parte della sanità italiana. Il professor Michele Cavo e la dottoressa Francesca Bonifazi, due eccellenze dell'ematologia hanno seguito Mihajlovic dall'inizio della malattia. Fin dal primo esame nel dipartimento terapie cellulari del Sant' Orsola.
«Eravamo nell'agosto del 2019 - ricorda il professor Cavo che dirige l'Istituto di ematologia Seragnoli -. Capimmo che era necessario un trapianto di midollo osseo -. L'intervento venne eseguito il 29 ottobre e Mihajlovic fu dimesso il 22 novembre». Il comunicato medico recitava: «Le condizioni generali del paziente sono soddisfacenti».
La famiglia esultò su Instagram: «Più bella cosa non c'è. Si torna a casa». Sembrava la fine di un incubo. Invece la leucemia aveva solo deciso di fare una pausa e lo scorso marzo è tornata. Esattamente a tre anni dal trapianto. Le date sono importanti. Perché sono proprio tre gli anni entro i quali è più facile che scatti la recidiva, cioè il «rinnovo» della patologia. Il professor Cavo lo sa bene e infatti lo aveva previsto: «Nei pazienti over 60 le ricadute possono avvenire durante i primi 2-3».
L'età più giovane di Sinisa lasciava più margini all'ottimismo. Ora l'obiettivo terapeutico era di puntare su una terapia in campo oncoematologico basata sui linfociti T, una sorta di «guerrieri globulari», avrebbero dovuto fronteggiare gli attacchi della leucemia proteggendo il sistema immunitario. La prima tappa sarebbe stata il prelievo delle cellule da selezionare per affrontare la battaglia. Non c'è stato tempo. La guerra, ormai, era già persa.