Alessandra Corica per “la Repubblica”
«Ma quali eroi. Servono le mascherine, i guanti, le visiere. Quello che ancora non si è capito è che se non si proteggono i medici, non si proteggono i cittadini: i protocolli vanno rivisti». Filippo Anelli è il presidente della Federazione degli ordini dei medici: ogni giorno l' ente aggiorna la conta dei morti tra i camici bianchi, ieri è arrivata a 80, altre 25 le vittime tra gli infermieri.
«Occorrono i dispositivi di protezione individuale, i tamponi da fare ogni cinque giorni a chi lavora in ospedale, dei nuovi modelli di protezione che tengano conto non solo degli ospedali ma anche degli ambulatori sul territorio. Ieri sera sembra siano arrivate a Malpensa delle nuove forniture per i medici di famiglia, tra oggi e domani dovrebbero iniziare a distribuirle, vedremo come andrà», dice Anelli.
MEDICI SI PROTEGGONO CON I SACCHI DELLA SPAZZATURA IN LOMBARDIA
Ancora scottato dall' ultima volta: le forniture consegnate dalla Protezione civile nei giorni scorsi le hanno dovute ritirare, erano «inutilizzabili » dal punto di vista sanitario, tanto che la Federazione ha deciso di girarle ad associazioni ed enti benefici. «Siamo stanchi di promesse, non ci bastano le parole: non abbiamo più lacrime per piangere i nostri morti».
Sono 11.252 gli operatori sanitari finora contagiati, oltre 4 mila in Lombardia nella quale il fabbisogno di sole mascherine chirurgiche supera il milione di pezzi al giorno. In tutta Italia trovarle resta problematico, negli ospedali si fa fatica e ancora peggio negli studi dei medici di base. Che se non le hanno acquistate in autonomia ne sono sprovvisti, e ora minacciano la serrata.
«Continuano tutti a dire grazie a noi medici. Ma finora per proteggerci è stato fatto poco», riflette Carlo Palermo, numero uno dell' Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri.
«L' Italia si è basata su una comunicazione dell' Oms del 27 febbraio che diceva che le mascherine chirurgiche le devono portare solo i malati e chi se ne occupa. Ma quella nota è stata scritta pensando al contesto mondiale, all' Italia così come al Corno d' Africa. Non porsi il problema che qui si potesse fare di più è assurdo».
E adesso? «Se testassimo tutti i medici, almeno il 10 per cento risulterebbe positivo». Con buona pace dell' assistenza ai pazienti, che in questo modo rimarrebbero scoperti visto che una parte dei sanitari sarebbe costretta a rimanere a casa in quarantena per curarsi.
Carlo Montaperto, presidente lombardo dell' Anpo, l' associazione dei primari, scuote la testa: «Non si può dire che le mascherine in ospedale non servono nei reparti senza pazienti con Covid-19, solo perché non si è in grado di acquistarle. Come si fa a essere certi che quel paziente che visitiamo per altre ragioni non sia asintomatico?».
Il 28 marzo l' Istituto superiore di sanità ha diramato delle linea guida sull' utilizzo dei dispositivi di protezione negli ospedali: prevedono le mascherine chirurgiche in alcuni contesti, quelle Ffp2 e Ffp3 in altri.
E poi i camici, le visiere, gli occhiali, tutto da modulare a seconda della vicinanza al paziente infetto, non da indossare in tutti i luoghi dell' ospedale, insomma. Le direttive sono "in itinere", potrebbero cambiare, «visto che di questa patologia spiega Angelo Pan, primario di Malattie infettive a Cremona, membro del pool che ha steso il documento ancora si conosce poco, quel che rimane fondamentale è fare attenzione, non confondere le zone contaminate con quelle pulite, lavarsi benissimo e spesso le mani».
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Nel suo ospedale ci sono circa 500 malati con Covid-19, in 200 tra medici e infermieri finora sono stati contagiati: «Fino al 20 febbraio ci eravamo preparati, ma pensando che avremmo dovuto accogliere qualche paziente con Covid-19, non certo l' inferno che si è scatenato».
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