Francesco Rigatelli per “la Stampa”
«Dobbiamo avere fiducia nei vaccini attuali, che proteggono ancora molto bene verso la malattia grave, e sperare nella ricerca affinché produca per l'autunno dosi aggiornate e farmaci sempre più efficaci». Giorgio Palù, professore emerito di Virologia all'Università di Padova, presidente dell'Aifa ed ex membro del Cts, fa il punto dopo i nuovi dati dell'Istituto superiore di sanità sulle 397mila reinfezioni con Sars-Cov-2 da fine agosto.
Come contestualizza questi ricontagi?
«Sono l'ennesima prova che non ha senso parlare di immunità di gregge. Per farlo ci vorrebbe un virus stabile e un vaccino che copra totalmente. Da notare invece è che il virus diventa sempre più endemico e che circa il 90 per cento delle infezioni, considerando anche i non vaccinati e i reinfettati, risulta asintomatico».
I ricontagiati, che sono il 5 per cento dei casi, costituiscono un segnale importante?
«Sì, perché parliamo dei casi censiti e probabilmente sono molti di più. Ormai sappiamo che le varianti di Omicron sono in grado di rompere l'immunità data sia dall'infezione naturale sia dal vaccino».
Le reinfezioni impressionano, ma possono portare alla malattia grave?
«Le caratteristiche di chi muore non sono cambiate. Si tratta in larga parte di ultraottantenni con patologie concomitanti. Se queste persone si reinfettano possono avere problemi, da cui l'importanza della quarta dose per i più fragili».
La vaccinazione dunque resta fondamentale?
«Certamente, purtroppo l'utilità della quarta dose viene sottovalutata sia in Italia sia in altri Paesi come la Germania».
E in autunno la faremo tutti?
«L'Ema ha ricordato che per l'intera popolazione bisogna puntare su vaccini aggiornati alle varianti e sottovarianti circolanti, oltre a cercare nel lungo periodo un vaccino polivalente contro tutti i coronavirus. Quando i primi saranno approvati - verranno valutati probabilmente a settembre - si potranno fare».
Perché Omicron produce tante sottovarianti?
«Il Sars-Cov-2 varia continuamente in maniera casuale. Può succedere nei soggetti immunodepressi in cui l'infezione dura più a lungo o può avvenire per ricombinazione con uno scambio di geni tra due virus che infettano una stessa cellula umana o animale. Il caso del passaggio di specie uomo-animale-uomo lo abbiamo già visto con il pipistrello e i visoni, ma può avvenire anche con altre specie come criceti e furetti.
È possibile che in questo momento siamo più attenti che in passato al sequenziamento e dunque seguiamo meglio l'andamento del virus. Non possiamo escludere che Omicron muti in una variante molto diversa e più patogena, ma sarebbe un processo contrario al destino evolutivo del virus che finora ha perso virulenza non infettando più i polmoni».
Sui grandi numeri è ugualmente pericoloso?
«Sì, perché essendo diventato più contagioso colpisce quasi tutti, provocando effetti più gravi nelle persone fragili».
Le sottovarianti di Omicron rendono meno efficaci anche i farmaci?
«Questo riguarda soprattutto gli anticorpi monoclonali, che essendo molto specifici andrebbero aggiornati. Gli antivirali classici diretti contro gli enzimi replicativi di Sars-Cov-2 non risentono delle mutazioni sulla proteina Spike. Mentre Remdesivir, da poco rivalutato, va somministrato per endovena, il Paxlovid è usato per via orale e viene dispensato dalle farmacie territoriali. Interagendo con tanti altri medicinali necessita di prescrizione e come tutti i farmaci di questo genere risulta efficace entro 72 ore dall'infezione».
Perché non è mai decollata la produzione italiana di vaccini?
«In Italia servirebbero più attenzione e finanziamenti alla ricerca e agli investimenti industriali. La produzione di farmaci generici e in conto terzi è ai primissimi livelli. Ma quella sui vaccini e sui farmaci innovativi non è ancora decollata perché non abbiamo avuto una partnership pubblico-privata come quella promossa da Trump, che ha investito 15 miliardi di dollari per riconvertire e specializzare l'industria».
Come vede l'andamento della pandemia da qui a Natale?
«Il Sars-Cov-2 resterà con noi a lungo con un andamento stagionale. Fino a ottobre nel nostro emisfero la situazione dovrebbe rimanere relativamente buona con ridotta incidenza di casi e bassa pressione sui servizi assistenziali. Poi, essendo il Covid-19 causato da un virus aereo, tornerà a preoccuparci. L'unico dato che resta allarmante è quello dei morti, per cui è come se ogni giorno cadesse un aereo».
L'allarme per la nuova epatite invece è rientrato?
«Per ora non ha avuto la diffusione che si temeva, nonostante abbia colpito soprattutto bambini sotto i 5 anni non vaccinati contro Sars-Cov-2. La causa più probabile è l'adenovirus umano F41, già associato a forme gastroenteriche».
Cosa pensa dell'antibiotico-resistenza, che per molti esperti è la nuova minaccia?
«Per l'Oms nel 2050 avremo più decessi per questa condizione patologica che per tumori. È chiaro che si fa un uso inappropriato di antibiotici, per cui vediamo resistenze nel 50-60% dei casi trattati verso farmaci chinolonici, beta-lattamici e macrolidi. L'industria farmaceutica dagli anni '90 non ha adeguatamente innovato a riguardo, perché è difficile trovare nuove molecole, i brevetti sono scaduti e gli antibiotici non sono remunerativi. Inoltre, questi ultimi vengono usati anche nella filiera alimentare di carne e pesce, senza contare che finiscono dispersi nell'ambiente e ci ritornano sotto varie forme».