Monica Serra per “La Stampa”
Sempre più spesso, anche in presenza di tutti i sintomi compatibili con il Covid 19, il tampone risulta negativo. Salvo positivizzarsi solo dopo qualche giorno, quando magari i sintomi si sono affievoliti o sono, addirittura, scomparsi. Il fenomeno è ancora in fase di studio, ma appare oramai abbastanza diffuso.
Secondo la rubrica «Dottore, ma è vero che?» della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), che ha dedicato una puntata alla questione, «è difficile stimare il numero dei casi di questo tipo e quali persone siano più a rischio». Soprattutto perché si riduce sempre di più il numero di chi si sottopone ai test ufficiali che vengono tracciati dalle autorità sanitarie.
Aumenta invece quello di chi privilegia i tamponi fai da te, effettuati tra le mura domestiche, sfuggendo così ai calcoli ufficiali. Che, nel bollettino quotidiano del ministero della Salute, hanno di poco superato quota 20 milioni di contagi in Italia dal febbraio del 2020, l'inizio della pandemia, mentre i decessi totali salgono a 169.846.
Covid test antigenico rapido 2
Intanto i nuovi casi giornalieri restano sotto i 100 mila: nelle ultime ventiquattro ore sono stati 89.830 contro i 96.384 del giorno precedente mentre sono stabili i tamponi (398.338) e in calo le vittime (111 rispetto alle 134 precedenti).
Certo, il boom dei falsi negativi e lo scarto temporale tra il momento in cui compaiono i sintomi e quello in cui si risulta positivi al tampone, rischia di incrinare il sistema di contenimento dei contagi. Anche per questo, il fenomeno ha attirato l'attenzione della comunità scientifica, che ha iniziato a ipotizzare le cause.
Spiega Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università Statale e direttore sanitario dell'Ospedale Galeazzi di Milano: «Il più delle volte questa situazione si verifica in soggetti che hanno avuto una precedente infezione, o vaccinati, in cui la risposta immunitaria è molto rapida e anticipa la presenza più importante del virus».
La comparsa dei primi sintomi, quindi, sarebbe la conseguenza dell'attivazione del sistema immunitario che combatte l'infezione. C'è da dire - sottolinea Pregliasco - che «la carica virale della variante Omicron 5 con cui stiamo facendo i conti è inferiore e il test, soprattutto se antigenico e a maggior ragione se eseguito in casa e non da un professionista, potrebbe per questo non riuscire a rilevare perlomeno nelle fasi iniziali la sintomatologia».
Almeno finché la carica virale non risulti sufficiente rispetto alla sensibilità del test, anche se il ritardo nella positività del tampone si verifica spesso pure nei soggetti che incontrano per la prima volta il virus. Che cosa bisogna fare in questi casi? «Ripetere il tampone ogni ventiquattro ore per più giorni e restare in quarantena almeno fino alla scomparsa dei sintomi». Che con questa variante sono diventati più blandi e spesso possono anche essere confusi con quelli di una influenza.
«Di certo in futuro bisognerà rivedere le regole della quarantena, ma al momento dobbiamo stringere i denti e superare la nottata: i dati epidemiologici attuali non sono significativi, stimiamo che i casi reali siano almeno il doppio o il triplo - chiarisce Pregliasco -. Questo accade perché in tanti non vengono tracciati da test ufficiali o preferiscono non sottoporsi proprio al tampone».
Vero è che con Omicron 5, che rappresenta il settantacinque per cento dei casi attuali in Italia, il virus si è «affievolito». Conclude il professor Pregliasco che, seguendo l'andamento attuale, dovremmo immaginare le future varianti «come le onde di un sasso in uno stagno, che tendono via via a ridursi».
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