Patrizia Floder Reitter per “la Verità”
«Non è che il malato di tumore non c' è più», faceva notare il ministro della Salute, Roberto Speranza, illustrando il piano sanitario per convivere con il coronavirus. Eppure era stata la stessa Aiom, l' Associazione italiana di oncologia medica, a sottolineare a marzo la necessità di posticipare in alcuni casi i trattamenti anticancro programmati. «È opportuno che venga valutato e discusso caso per caso l' eventuale rinvio», invitava a fare, «in base al rapporto tra i rischi (per il singolo e per la collettività) legati all' accesso in ospedale e i benefici attesi dal trattamento stesso».
Molti pazienti si sono sentiti abbandonati, le diverse realtà che operano sul territorio nazionale e offrono assistenza raccontano di continuare a ricevere «richieste di informazioni e supporto», da tante persone «preoccupate per il rinvio o la cancellazione di appuntamenti, il rinvio di cure chemioterapiche, di radioterapia, interventi chirurgici e chiusura di laboratori diagnostici», come informa «Codice Viola», impegnata a migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti affetti da adenocarcinoma del pancreas.
Da un questionario rivolto a tutti i sofferenti di tumore (e di cui parliamo diffusamente nell' articolo sottostante), l' associazione ha riscontrato che in questo periodo gli interventi chirurgici sono stati rinviati a data da destinarsi nel 64% dei casi.
«Pensiamo ai tumori più comuni: quello alla mammella, al colon retto», quindi necessità di esami quali «mammografia, ricerca del sangue occulto nelle feci e poi colonscopia. Le persone da un lato hanno vissuto la paura del contagio dentro i nosocomi, dall' altra sono state bersagliate da informazioni spesso sommarie o contraddittorie; alla fine sono rimaste a casa coi propri sintomi e arriveranno nei prossimi mesi», ha dichiarato il professor Giuseppe Navarra, direttore di chirurgia generale a indirizzo oncologico al Policlinico di Messina.
Il rischio più alto di complicanze e decesso ha certamente influito nelle decisioni di non esporre i pazienti all' accesso in ospedale in piena pandemia, se non nei casi strettamente necessari per gravità della neoplasia o della terapia richiesta, ma anche qui i dati aiutano a far luce prima delle statistiche, che tarderanno mesi ad arrivare.
mancanza di posti Le nuove diagnosi di cancro sono circa mille ogni giorno in tutta Italia, 3.460.000 persone continuano a vivere dopo una diagnosi di tumore, 179.000 sono stati i morti nel 2016 (ultimo dato disponibile). In quell' anno, 3 decessi ogni 1.000 persone erano per cancro, oltre 485 persone al giorno. Veniamo alle stragi causate dal Covid-19. Secondo l' Istituto superiore della sanità, i tumori diagnosticati negli ultimi 5 anni rappresentano tra il 16 e il 20 % delle patologie preesistenti all' infezione, che ha provocato i decessi da coronavirus.
Un paziente su cinque aveva un carcinoma, prima di morire per il coronavirus, risultato fatale perché era immunodepresso, perché non aveva abbastanza difese per reagire a un virus così violento e «forse anche perché nei momenti più critici, quando mancano posti in terapia intensiva, la scelta non è a favore dei malati oncologici», afferma Elisabetta Iannelli, avvocato, vice presidente dell' Aimac, l' associazione italiana malati di cancro, e segretario generale della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo). «Con pochi respiratori a disposizione, nell' emergenza il criterio di privilegiare persone con maggiori aspettative di vita è doloroso, forse inevitabile, certo non commentabile».
Se consideriamo sempre i numeri al 6 aprile, i decessi per coronavirus erano 16.523 ma quelli per tumori già superavano quota 46.000. Sommando anche la percentuale di quanti avevano un carcinoma e sono morti per Covid-19 (1 paziente su 5), arriviamo a quasi 50.000 decessi per tumore nel primo trimestre 2020.
E non sappiamo ancora il numero di coloro che, non curati, avranno ridotte speranze di sopravvivenza. «Il panico, il senso di abbandono è cresciuto molto in chi si è trovato a dover affrontare, oltre all' enorme problema del cancro, anche l' emergenza coronavirus», fa presente l' avvocato.
«È stato difficile far capire che per contenere il rischio in alcuni casi era necessario, ragionevole spostare in altra data esami, visite, terapie. Ma adesso il problema diventa la fase due, non si può più rinviare sine die. Bisogna pensare a dei percorsi Covid free, accelerare soluzioni come terapie a domicilio, occorre potenziare i servizi di telemedicina, di sostegno psicologico a distanza. Servono linee guida, semplificazioni che possano essere utili al sistema sanitario pure per altre patologie e nello scenario post coronavirus».
Per chi resta in vita, oltre alla lotta contro il cancro c' è pure quella per la sopravvivenza economica. Il governo forse correggerà il tiro, intanto con l' attuale formulazione del Cura Italia sono stati penalizzati i disabili e un milione di pazienti oncologi che continuano a lavorare, pur convivendo con una neoplasia che richiede cure e visite continue.
Fino a quando non sarà chiarito che dal bonus di 600 euro, erogato a lavori autonomi e liberi professionisti, sono esclusi i lavoratori titolari di pensione di anzianità o di vecchiaia, ma non di invalidità, il decreto continuerà a discriminare chi si trova in condizione di maggiore fragilità. «Stiamo parlando di persone che traggono il loro sostentamento dal lavoro, che sono danneggiate dalla riduzione di attività dovuta al Covid-19, ma che a parità di condizione di tutela "di ultima istanza" non possono accedere al bonus.
Perché ricevono già assegni di invalidità parziale, ai quali però hanno diritto in quanto pagano i contributi e sono integrazione di un reddito, ridotto per la capacità lavorativa diminuita ma comunque prodotta», spiega Iannelli, che con un tumore mammario metastatico convive da 27 anni, in trattamento cronico.
tripla certificazione Non va meglio per i lavoratori dipendenti con patologie a rischio, che potevano rimanere a casa dal lavoro con assenza equiparata al ricovero ospedaliero. Una tutela vanificata dal decreto Cura Italia perché non basta autocertificare la propria condizione di malato oncologico, già nota all' amministrazione sanitaria, ma al datore di lavoro bisogna presentare una tripla certificazione, «forse dei medici legali delle Asl e dove comunque le persone a rischio sarebbero costrette a spostarsi per ottenere l' attestazione della condizione di rischio, di "autorità sanità competenti", pure non precisate e dei medici di assistenza primaria.
Era un diritto fruibile fino al 30 aprile, non è stato al momento utilizzabile, non lo sarà mai», commenta l' avvocato.
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