MALATI IMMAGINARI - LA PANDEMIA HA TRASFORMATO GLI ITALIANI IN UN POPOLO DI IPOCONDRIACI “DIGITALI”: NEL 2020 LA SPESA PER SATURIMETRI, SMARTWATCH E ALTRI STRUMENTI PER L’AUTODIAGNOSI HA RAGGIUNTO IL RECORD DI MEZZO MILIARDO (40 EURO PRO CAPITE) - MA SIAMO SICURI CHE SIA UN BENE? DAI DISTURBI D’ANSIA ALLE DIAGNOSI SBAGLIATE PER COLPA DELLE TECNOLOGIE LOW COST, CI SONO PIÙ RISCHI CHE BENEFICI…

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Valentina Arcovio per “il Messaggero”

 

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Spesso iniziano al mattino, attaccando al proprio dito la «pinzetta» che misura la saturazione. Poi è il turno della pressione con macchinette digitali o smartwatch pronti a misurare anche il ritmo cardiaco.

 

L' ipocondria ai tempi del Covid è diventata epidemica e anche digitale. Le vittime principali sono gli anziani, terrorizzati di ammalarsi e per questo ossessionati dal controllo dei propri parametri vitali. Un eccesso di attenzione alla salute che, complici tecnologie di semplice uso e low cost, può provocare una serie di conseguenze più o meno gravi: da disturbi d' ansia e stress ad autodiagnosi sbagliate.

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A puntare i riflettori sull' ipocondria digitale sono gli esperti della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe), che sottolineano come, sotto la spinta dell' emergenza Covid, si sia passati dalla consultazione compulsiva di Google all' automisurazione di tutti i parametri corporei. Non è un caso se, nell' anno della pandemia, in Italia la spesa di strumenti digitali per la misurazione dei parametri vitali è arrivata a toccare circa mezzo miliardo con un esborso pro capite di circa 40 euro.

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I TIMORI

I principali acquirenti sono i figli preoccupati per la salute dei genitori anziani. «Tutte le tecnologie digitali a partire dagli smartphone, possono rappresentare un volano per la prevenzione cardiovascolare e lo conferma il boom delle vendite di apparecchi per il monitoraggio della funzione cardiaca: dai braccialetti elettronici alle App, agli smartwatch per la trasmissione dell' elettrocardiogramma», dichiara Alessandro Boccanelli, presidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe).

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«È giunto il tempo di lavorare - continua - su un percorso di cura che inizia dall' interazione del paziente da remoto.  Ma non bisogna confondere l' automonitoraggio con la diagnosi che deve essere sempre eseguita dal medico, indipendentemente dal dato tecnico che non si può sostituire all' operatore sanitario.

alessandro boccanelli alessandro boccanelli

 

 Invece c' è la convinzione che usandoli si possa scavalcare il professionista sanitario che deve sempre suggerire il loro utilizzo, altrimenti il rischio è di far sentire tutti un po' malati. Ciò vale soprattutto per gli anziani che vivono a casa, vittime spesso inconsapevoli di un ossessivo controllo fai da te, e più esposti al rischio di un eccesso di medicalizzazione e di sofferenza e inquietudini crescenti».

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Non capita di rado, secondo gli esperti, che l' apparecchio per la pressione invii un messaggio di allerta di una presunta fibrillazione atriale. «Ma se il paziente non è a rischio non deve preoccuparsi», precisa Boccanelli. «Bisogna dunque parlare con il proprio medico utilizzando sempre l' operatore sanitario come filtro, capire se si è una persona a rischio, se è opportuno utilizzare la tecnologia digitale e condividere i dati», aggiunge.

 

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I PERICOLI

Il settore in cui la tecnologia digitale ha trovato la massima applicazione, soprattutto da quando è scoppiata l' emergenza Covid, è la cardiologia. Ma il monitoraggio continuo dei parametri vitali e la raccolta dei relativi dati che in questi mesi di isolamento e distanziamento hanno subito un' impennata, hanno sconvolto l' equilibro del rapporto tra medico e paziente, soprattutto per gli anziani.

 

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«La riprogettazione dell' assistenza sanitaria deve tenere conto delle opportunità che la rivoluzione digitale offre, ma in questo contesto la gestione della diagnosi e della cura deve essere affidata al medico e non al cittadino che rischia di sentirsi malato e ipermedicalizzarsi», conclude Boccanelli.

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