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Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il “Corriere della Sera”
Ogni giorno, in Italia, a circa mille persone viene diagnosticato un tumore. I nuovi casi nel 2019 sono stati 371 mila, di cui 196 mila negli uomini e 175 mila nelle donne. In crescita l' incidenza fra gli adolescenti. Le cause conosciute che provocano le alterazioni del Dna sono di tipo ambientale, legate a stili di vita, genetiche, infettive e, per ultimo, i fattori casuali.
Per questa ragione, fin dal 1965 l' Organizzazione mondiale della sanità ha fondato l' Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), con il compito di identificare le sostanze che possono provocare tumori, affinché vengano bandite dal mercato, o sia consentito ai governi di adottare provvedimenti di salute pubblica, ma anche ai singoli cittadini di decidere consapevolmente quali rischi correre. La lista di cosa può contribuire a provocare il cancro, oltre a quello che tutti ormai ben sappiamo come fumo, alcol e obesità, è piuttosto lunga.
Il nesso causale tra l' esposizione alla sostanza e l' insorgere della malattia è stato dimostrato per le fibre di amianto, la formaldeide e il benzene (leucemie e il cancro al polmone), per metalli come alluminio, cromo, nichel e le radiazioni emesse dal radon-222 (soprattutto per i tumori al polmone) e tanti altri. Sul mercato però ci sono oltre 140 mila composti chimici sintetizzati, e ben 5 mila sono prodotti in quantità superiori a 300 mila tonnellate all' anno, comportando un' esposizione a livello planetario.
Sono sicuri? Quello che sappiamo è che soltanto sul 7 per cento ci sono informazioni sufficienti, sul 50% esistono informazioni parziali e inadeguate, mentre per il 43% non esistono informazioni di base sulla tossicità.
Il problema è che anche là dove è nota la pericolosità di un composto, il processo regolatorio per limitarne la presenza nel cibo, nell' acqua o nell' aria è lunghissimo.
Un esempio emblematico è quello dei pesticidi e dei fertilizzanti. Solo in Italia nel 2017 ne sono stati sparsi 1,3 miliardi di tonnellate, e per un ettaro di agricoltura convenzionale ne sono usati 396 chili all' anno. Gli studi epidemiologici hanno riscontrato tra gli agricoltori tassi elevati di linfomi, leucemie, tumori allo stomaco, al pancreas, al cervello; fra i coltivatori di patate e di ulivi neoplasie al rene; fra i frutticoltori cancro al colon e alla vescica. Il glifosato è uno dei diserbanti più potenti e diffusi nelle coltivazioni intensive, tant' è che entro il 2020 la sua richiesta, nel mondo, raggiungerà 1 milione di tonnellate. È stato studiato a lungo, ma a oggi ancora non esiste una letteratura scientifica univoca sui danni che può provocare.
L' Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro nel 2015 ha classificato il glifosato come probabile cancerogeno. La European Food Safety Authority (Efsa) come improbabile cancerogeno, per l' Environmental Protection Agency (Epa), incaricata della protezione ambientale dal governo Usa, invece non è cancerogeno.
In Europa il limite giornaliero della quantità di glifosato che può essere ingerita con il cibo o l' acqua da bere, espressa in base alla massa corporea, è di 0,5 milligrammi al giorno per ogni chilo di peso, per gli Stati Uniti 1,75.
Dunque qual è la reale soglia di sicurezza per l' uomo? Dai risultati delle indagini dell' Istituto di ricerca sul cancro Ramazzini di Bologna, considerato fra i più autorevoli a livello internazionale per la ricerca sulle malattie ambientali, emerge che il livello di glifosato ammesso dagli Stati Uniti, somministrato a ratti a partire dalla vita embrionale fino a una età corrispondente ai 18 anni nell' uomo, può interferire con il normale sviluppo sessuale, è genotossico (cioè capace di provocare rotture del Dna), e altera la flora batterica intestinale. Sono ancora in corso le indagini che riguardano gli effetti su ghiandola mammaria, reni, fegato e sperma. Intanto che le autorità sanitarie stabiliscano definitivamente chi ha ragione, noi continuiamo a essere esposti al glifosato.
Un altro tema di portata planetaria è l' esposizione alle onde elettromagnetiche di antenne e cellulari. Il resoconto del National Toxicology Program pubblicato a marzo del 2018, così come quello dell' Istituto Ramazzini, mettono in evidenza un aumento dei tumori del cervello (glioblastoma) e delle cellule di Schwann.
Entrambi hanno esposto alle onde migliaia di cavie. L' agenzia americana ha usato radiofrequenze di 900 MHz per tutto il giorno a intermittenza, simulando in pratica l' uso quotidiano del cellulare. L' istituto italiano, invece, ha esposto le cavie alle antenne 3G (frequenza di 1,8 GHz) in maniera continua per 19 ore al giorno. Altri tre lavori sperimentali, dove l' esposizione è stata fatta su un numero più ridotto di ratti, a periodi di tempo più corti e 2 ore al giorno, hanno invece prodotto un risultato negativo. In una recentissima pubblicazione del ministero della Salute francese viene evidenziato che il glioblastoma è aumentato di quattro volte fra il 1990 e il 2018.
La scienza quindi non è concorde, mentre il mondo, privo di conoscenza su eventuali rischi, corre verso il 5G, di cui non si conosce ancora nulla. Dalle autorità sanitarie ci si attende almeno che non vengano aumentati i livelli espositivi e l' introduzione di qualche prescrizione obbligatoria sull' uso dei telefonini.
La gran parte della ricerca è finanziata dall' industria, che ha tutto l' interesse a nascondere o a prolungare nel tempo le decisioni in merito alla nocività di un prodotto. Solo gli studi realizzati con il finanziamento pubblico possono garantire l' indipendenza del risultato.
Dai dati elaborati per Dataroom da Alleanza contro il cancro, la più importante organizzazione italiana di ricerca oncologica, risulta che degli irrisori 210 milioni di euro di fondi stanziati, soltanto 21 milioni vanno a finanziare gli studi che cercano «cosa» provoca i tumori. Mentre il programma europeo con il più alto budget mai stanziato - pari a circa 80 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 (Horizon) - sostiene innovazioni e scoperte per registrare nuovi prodotti da mettere sul mercato, e zero euro per individuare quali prodotti, tra quelli già in circolazione, sono cancerogeni.
In compenso, solo in Italia, spendiamo oltre 5,65 miliardi all' anno in farmaci per curare chi si ammala di cancro. Una cifra cresciuta di 650 milioni nell' ultimo anno, e su cui pesa anche il costo dei farmaci innovativi (614 milioni di euro). In un ospedale-tipo italiano le terapie con i farmaci tradizionali si aggirano su 2 mila euro a ciclo, quelle innovative possono costare fino a 5.300 euro a ciclo, che significa un totale di 90 mila euro all' anno. Ben vengano questi farmaci, se danno più speranza di vita o di guarigione ai malati, ma purtroppo non è sempre così.
Lo scorso ottobre, durante il Congresso della Società europea di oncologia medica che si è svolto a Barcellona, è stato presentato lo studio relativo a trentasei farmaci innovativi registrati dall' Agenzia europea per i medicinali (Ema) dal 2004 al 2017, e approvati per 68 indicazioni per il trattamento di tumori solidi. Risultato: quasi la metà ha ottenuto bassi punteggi di valore aggiunto rispetto ai farmaci tradizionali per i benefici clinici, di sopravvivenza, qualità di vita o trattamento delle complicazioni. Il loro costo però è mediamente doppio rispetto ai farmaci tradizionali per la cura dello stesso tipo di tumore.