Margherita De Bac per il “Corriere della Sera”
Un'unica iniezione contro il Sars-CoV-2, le sue varianti più contagiose e l'influenza. «Stiamo lavorando su vaccini polivalenti», guarda lontano Andrea Carfì, capo della ricerca per le malattie infettive dell'americana Moderna, la multinazionale specializzata nella tecnologia dell'Rna messaggero. La prima creatura è stato l'anti-Covid autorizzato negli Stati Uniti a fine dicembre, uno dei quattro «antidoti» distribuiti attualmente in Italia.
Quali delle varianti finora sequenziate mettono alla corda il vostro vaccino?
«Preoccupa quella identificata per la prima volta in Sudafrica (B.1.351). Si è visto in studi di laboratorio che il nostro preparato risponde cinque-sei volte meno rispetto a quanto non faccia contro il virus originale, il Wuhan, o la variante identificata inizialmente in Inghilterra (B.1.17).
Stiamo sperimentando sull'uomo due nuove versioni del vaccino: la prima contiene la sequenza della variante del Sudafrica, la seconda è la combinazione di una sequenza genetica del virus mutato e dell'originale. Si punta a trovare formule multivalenti come per l'antinfluenzale. Una dose contro quattro virus».
Con le tecnologie tradizionali sarebbe stato possibile?
«Non così velocemente. Per queste versioni modificate siamo riusciti ad avviare i test clinici ad appena 30-35 giorni dall'analisi dei dati che dimostravano quanto il virus identificato in Sudafrica fosse capace di diminuire di almeno cinque volte gli anticorpi neutralizzanti. Insomma ci teniamo pronti».
La variante indiana è minacciosa?
«Lo sapremo la prossima settimana dopo aver raccolto i dati. Noi monitoriamo costantemente e tentiamo di capire in base ai cambiamenti di piccole parti del virus le versioni più pericolose che subito vengono testate in laboratorio. La variante indiana preoccupa un po' perché combina due mutazioni già viste in altre varianti».
Moderna ha annunciato investimenti per tre miliardi di dosi nel 2022. In vista del richiamo annuale?
«Vorrei far notare, da italiano, che gran parte degli investimenti sono per l'Europa. Si è visto che anche nei vaccinati con una doppia dose gli anticorpi neutralizzanti diminuiscono pur restando presenti sei mesi dopo. In più si affacciano varianti in grado di spuntare le armi degli anticorpi. Quindi è reale la prospettiva di una terza dose di richiamo per il prossimo anno e anche per i successivi».
I ricercatori avevano previsto che le difese degli anticorpi con il passare dei mesi sarebbero scadute?
«Non è una novità. Succede anche con altri vaccini, come l'anti-influenzale. Altri studi clinici sono in corso. Stiamo per esempio valutando dosaggi più bassi. Anziché 100 microgrammi a inoculazione, come è adesso, si potrebbe scendere a 50 o 20 microgrammi se saranno sufficienti per dare una risposta immunitaria paragonabile a quelle attualmente utilizzate».
Terza dose per vaccinati e guariti?
«Sì. L'obiettivo è riportare i valori degli anticorpi ai livelli ottenuti dopo essere stati vaccinati al completo o aver avuto l'infezione».
Dopo la doppia dose di AstraZeneca si potrà ricevere il richiamo di Moderna?
«È a questo che puntiamo ma bisogna raccogliere altri dati per dimostrare la validità e la sicurezza di vaccinazioni miste».
A quando un vaccino pediatrico?
«È stato completato l'arruolamento dei volontari per partire con i test su 12-18enni.
Speriamo di avere l'autorizzazione dall'Agenzia americana dei medicinali entro l'estate e di rendere disponibili le fiale prima dell'autunno. A metà marzo è partito lo studio su 6.500 bambini tra sei mesi e undici anni. Contiamo di essere pronti nel 2022».
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