Francesca Pierantozzi per “il Messaggero”
Il vaccino contro il Covid 19 garantito per primo al maggior offerente, anzi, peggio, a chi ha già offerto di più (nel caso specifico, gli Stati Uniti)? Ci mancava solo il nuovo «nazionalismo vaccinale» (come lo ha definito Le Monde), a rendere la situazione generale ancora più preoccupante. A ricordare che il vaccino per debellare la pandemia non è solo la più grande speranza attuale per il pianeta, ma anche una questione di ricerca, laboratori, costruzione di nuove industrie ad hoc, in definitiva di soldi, è stato, in modo un po' brutale, Paul Hudson, il direttore generale del colosso farmaceutico francese Sanofi (36 miliardi di fatturato, uno dei più grandi produttori di vaccini al mondo).
L'INTERVISTA
In un'intervista all'agenzia Bloomberg, Hudson ha sì strappato un sorriso dichiarando che per un vaccino potrebbero volerci 18-24 mesi (contro i dieci anni normalmente richiesti per raggiungere l'obiettivo) ma ha anche aggiunto che un eventuale antidoto col marchio Sanofi sarebbe «riservato in priorità agli Stati Uniti».
L'America di Trump avrebbe «diritto alla parte più grossa dei pre-ordini» e potrebbe beneficiare di un anticipo di giorni e settimane sul resto del mondo, visto che esiste da febbraio un accordo di cooperazione con la Barda, l'Autorità per la ricerca e lo sviluppo nel settore biomedico che dipende direttamente dal ministero americano della Sanità.
GLI INVESTIMENTI
Gli Usa hanno già anticipato o promesso investimenti «per diverse centinaia di milioni di euro ed è per questo che saranno serviti primi» ha chiosato il direttore di Sanofi.
Immediate, naturalmente, le reazioni di sdegno da parte, prima della Francia e di Macron (Sanofi è francese e ha beneficiato tra l'altro, di circa 130 milioni di euro di credito d'imposta), poi della Commissione Europea («il vaccino deve essere un bene di utilità pubblica e il suo accesso deve essere equo e universale») e infine del mondo, con qualcuno (una lettera aperta di 140 personalità tra cui i presidenti sudafricano e pakistano) che osa addirittura proporre che il vaccino, qualsiasi marchio dovesse avere, dovrebbe essere messo a disposizione di tutti e gratuitamente, visto che lasciare fuori i paesi più poveri o quelli meno lungimiranti che non hanno investito, risponde forse a criteri economici, ma non favorirebbe la fine della pandemia.
IL CHIARIMENTO
Il direttore Hudson è poi intervenuto di nuovo per chiarire il suo pensiero: «Sanofi ha bisogno di condividere i rischi per produrre dosi di un potenziale vaccino prima della sua autorizzazione formale, cosa che gli Stati Uniti hanno fatto in base a un modello che in Europa non esiste» ha detto, riconoscendo «che in Europa esiste un'enorme volontà e che la prossima tappa sarà elaborare uno strumento per garantire che saremo in grado di assicurare la produzione in Europa e anche nel resto del mondo».
Insomma, per alcuni Hudson avrebbe rilasciato dichiarazioni al limite della provocazione per fare pressione e accelerare i negoziati con Bruxelles. L'Europa ha già raccolto 7,4 miliardi di contributi grazie a un telethon mondiale organizzato all'inizio del mese, al quale Trump non ha pero' partecipato.
LA REPLICA
All'Eliseo Emmanuel Macron ha subito reagito alle parole del direttore di Sanofi, convocando la direzione del gruppo la settimana prossima e dichiarando nel frattempo che «il vaccino dovrà essere un bene pubblico mondiale, non sottoposto alle leggi del mercato». «Un accesso equo al vaccino non è negoziabile» ha assicurato da parte sua il premier Edouard Philippe dopo aver ricevuto il presidente di Sanofi Serge Weinberg. «Gli americani ha poi precisato il responsabile Sanofi per la Francia Olivier Bogillot sono molto efficaci in questo periodo. Bisogna che l'UE sia altrettanto efficace aiutandoci a mettere a disposizione il prima possibile questo vaccino». Bogillot ha parlato di negoziati in corso con l'Unione e anche con la Francia e la Germania.