Francesco Rigatelli per "la Stampa"
«I tamponi antigenici vanno contati a parte perché rischiano di alterare la realtà della situazione». Per Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario del Galeazzi di Milano e ricercatore di virologia all' Università Statale, «servirebbe un lockdown duro e prolungato, ma è impraticabile perché susciterebbe una rivolta sociale».
I numeri sembrano in calo, ma sono affidabili?
«I provvedimenti di Natale, la diminuzione dei tamponi e il nuovo conteggio degli antigenici danno come risultato una crescita minore del contagio, non una diminuzione, da verificare nei prossimi 10 giorni».
Il conteggio degli antigenici cosa comporta?
«Ulteriore confusione perché aumentano il denominatore e fanno perdere dei casi positivi.
Vanno distinti meglio dai molecolari nel conteggio».
Come si esce dallo stallo attuale?
«Non andiamo peggio di altri Paesi, ma siamo nel limbo. Il lockdown duro ha senso dal punto di vista scientifico, ma susciterebbe una rivolta sociale. Si può continuare con zone rosse non troppo stringenti per regolare la velocità del contagio fino al vaccino».
Quando si potranno fare delle riaperture?
«Quando il 20-30 per cento della popolazione, compresa la parte più a rischio, sarà vaccinato».
Non è meglio un lockdown duro che abbatta il contagio se bisogna tenere chiuso comunque?
«Si tratta di una scelta politica difficile da prendere a causa dei costi economici e sociali e, in ogni caso, ci vorrebbero mesi per eliminare totalmente il contagio».
La Lombardia non accetta neppure la zona rossa.
«Capisco che sia un duro colpo, ma consiglierei alla Regione di approfittarne per migliorare la situazione. Le zone gialle portano guai come dimostrato in Veneto».
Cosa ne pensa della richiesta di Letizia Moratti di considerare il Pil tra i motivi per dare più vaccini alla Lombardia?
«La vaccinazione come ogni questione di salute deve essere equa, ma, al di là della semplificazione nella comunicazione di una proposta che può essere stata maldestra, va posto un tema: solo i vaccini risolveranno i problemi economici, e gli imprenditori e le partite Iva dovranno correre a farseli per riaprire».
La campagna è appesa all' approvazione di AstraZeneca?
«Sì, ma è nell'interesse di Pfizer riorganizzarsi per produrre più vaccini. L'Italia dovrebbe aiutare questo processo mettendo a disposizione un sito industriale come Sanofi in Francia. Bisogna fare come con le mascherine, quando chi poteva si è messo a produrle. E poi non va dimenticato il resto del mondo: se lasceremo correre il virus fuori dai confini, tra varianti sudamericane e africane, avremo casi di importazione».
Quanto contano le varianti?
«L'inglese e la sudafricana sono sensibili alla vaccinazione, la brasiliana non si sa ancora, ma non è l'ultima. Più il virus si riproduce più varia, per questo va frenato, ma va detto che una variante su dieci miliardi è davvero negativa. Più probabile che col tempo appaiano varianti indebolite».
Intanto a Milano con la sua consulenza è quasi finita la vaccinazione al Pio Albergo Trivulzio. Com' è andata?
«Anch' io lunedì ho fatto la seconda dose ed entro breve spero che tutti concludano la vaccinazione. Significherà non avere più malati gravi e morti nelle Rsa e sarà un esempio per chi ha ancora dei dubbi».
Teme di più le forniture, la disorganizzazione o i negazionisti?
«La vaccinazione è partita bene e con le dosi necessarie continuerà a ritmi crescenti con l'obiettivo ambizioso, ma necessario per coinvolgere tutti, di finire entro l' anno. Il mio timore è che dopo una prima fase dedicata alle categorie a rischio i più giovani non sentano la necessità di vaccinarsi. Non è facile assumere un farmaco quando si sta bene e non si teme la forma grave della malattia».
L'obiettivo di fine anno è credibile?
«Entro febbraio è realistico completare medici, infermieri e Rsa. Per gli over 80 molto dipende dalle forniture. Pfizer si può fare soprattutto in ospedale, mentre altri vaccini si somministrano anche a casa o dal medico di base. In ogni caso, non penso finiremo prima dell' estate 2022».
Quanto influisce la crisi di governo?
«Spero duri poco perché servono indicazioni autorevoli per prendere le misure necessarie ed evitare il disagio e la ribellione sociale».
Lei è ricercatore nel pubblico, medico nel privato e fa il volontario dell' Anpas: come va fatta la riforma della sanità lombarda a cui lavora Letizia Moratti?
«Si parte da un modello efficientista voluto da Formigoni, che bene o male consente ai cittadini di scegliere dove curarsi creando una competizione pubblico-privato. Ora servirebbe un rammendo tra i fondamentali medici di base e gli ospedali fatto di assistenza territoriale e sociosanitaria. Il 30 per cento di anziani e malati cronici assorbe il 70 per cento dei servizi e spesso senza trarne giovamento».