Niccolò Carratelli per “la Stampa”
silvio brusaferro gianni rezza
L'estensione del Green Pass aiuterà a «rafforzare i due pilastri della lotta al virus: copertura immunitaria grazie ai vaccini e comportamenti sociali corretti». Silvio Brusaferro plaude alla mossa del governo, ma, sul proposito di allungare a 72 ore la validità del tampone molecolare, avverte: «L'incubazione con la variante Delta è più veloce e, più tempo passa dall'esecuzione del test, più può aumentare il rischio di esposizione al virus».
Il presidente dell'Istituto superiore di Sanità e portavoce del Comitato tecnico scientifico fa capire che serve ancora prudenza, anche sulla richiesta di portare alla massima capienza le sale di cinema e teatri: «C'è una valutazione in corso, a noi il governo non ha ancora chiesto formalmente un parere, vedremo nelle prossime settimane». Una prudenza che, comunque, sembra dare i suoi frutti, visto che «la circolazione del virus in Italia è più contenuta rispetto ad altri Paesi europei».
Per primi abbiamo imposto l'obbligo di Green Pass nei luoghi di lavoro: quanto ne beneficerà la campagna vaccinale?
«L'obiettivo è convincere i molti esitanti, con particolare attenzione alla fascia d'età 50-59 anni, che è la più numerosa e ha un 18% senza nessuna protezione: è una percentuale significativa, sono circa 2 milioni di persone che devono cogliere l'importanza della vaccinazione».
«Se il Green Pass non basterà, valuteremo l'obbligo vaccinale», hanno detto Draghi e Speranza. Ma quando e quanto basterà?
«Dobbiamo raggiungere la copertura più alta possibile, non c'è una soglia precisa da poter indicare oggi. I punti di riferimento sono la circolazione del virus, quindi l'incidenza dei contagi, e la necessità dei positivi di ricorrere a cure sanitarie, quindi i ricoveri. In base a questi dati si faranno le valutazioni».
Dal punto di vista scientifico, ha senso allungare a 72 ore la validità di un tampone molecolare?
«Il tampone è solo uno strumento di supporto, che non garantisce un'immunità: se negativo ci dice che, nel momento in cui ci si sottopone al test, con elevata probabilità non si è infetti. Ora, però, sappiamo che l'incubazione del virus con la variante Delta è più ridotta, intorno alle 48 ore, quindi l'obiettivo deve essere quello di contenere al massimo il rischio di trasmissione di un'infezione contratta dopo il tampone».
Con la variante Delta si accorcia anche la protezione immunitaria garantita dai vaccini, come suggerisce l'aumento di positivi tra gli operatori sanitari?
«Sulla durata effettiva della protezione sono in corso studi e valutazioni. Del resto, disponiamo dei vaccini solo da nove mesi. Dobbiamo seguire bene l'andamento della copertura e aspettare dati più consistenti. In ogni caso c'è grande attenzione per la condizione degli operatori sanitari, in ragione del lavoro che fanno: se è vero che quasi mai si ammalano seriamente, contagiandosi rischiano però di far circolare il virus negli ospedali».
Bisogna accelerare sulla terza dose?
«La cosiddetta terza dose, al momento, è uno strumento per mantenere elevata la protezione immunitaria delle persone più fragili. In questa fase stiamo ancora valutando se, quando e a chi fare un'ulteriore iniezione. Il tema, comunque, non è una terza dose a pioggia. È un'ipotesi, che potrebbe svilupparsi con percorsi differenziati, in funzione del rischio individuale e della competenza immunitaria delle persone».
Si aspetta anche di capire se arriverà una versione aggiornata e più potente del vaccino?
«Per fortuna abbiamo la tecnologia necessaria per modificare i vaccini in tempi molto veloci: questa è una garanzia del fatto che nei prossimi mesi potremo tenere sotto controllo la circolazione del virus, anche se muta continuamente. Per questo dobbiamo essere molto attenti nell'attività di sequenziamento».
C'è grande attenzione anche sulla scuola, avete previsto un focus specifico nel monitoraggio per verificare l'andamento di contagi e focolai: che autunno ci aspetta?
«È importante riuscire a mantenere la didattica in presenza e, in quest' ottica, è incoraggiante l'adesione molto positiva dei giovani alla campagna vaccinale. Sotto i 12 anni, però, almeno per questa prima parte dell'anno scolastico, non ci si può ancora vaccinare e questo rappresenta un punto debole. Abbiamo visto che in altri Paesi, dove la scuola è cominciata alcune settimane fa, la circolazione del virus è aumentata, quindi non possiamo escludere infezioni e focolai tra gli studenti. Per questo sono importati i protocolli per gestire con attenzione il pre e il post scuola, fasi più pericolose rispetto alle lezioni in classe, dove si sta seduti al proprio posto».
Ma lì avete previsto una deroga al metro di distanziamento, se gli spazi esigui non lo consentono: un altro rischio calcolato?
«Il metro di distanziamento è una misura estremamente importante e per noi resta prioritaria. Abbiamo detto che, nelle situazioni in cui il metro non è logisticamente praticabile, magari si può scalare un po', indossando sempre la mascherina chirurgica, per consentire a tutti di seguire le lezioni in presenza».
Quindi l'idea di far togliere la mascherina nelle classi in cui sono tutti vaccinati è azzardata?
le varianti circolano a scuola
«No, quello è lo scenario di arrivo. Con un numero sempre più alto di persone immunizzate, si cercherà di ridurre le misure di sicurezza e le "barriere". Oggi non siamo ancora in questa condizione: l'orizzonte di riferimento è una situazione di controllo del virus, con il quale dobbiamo imparare a convivere».