Chiara Baldi per "la Stampa"
Che nella scienza non sia tutto bianco o nero, Katalin Karikó, classe 1955, origini ungheresi ma da molti anni ormai in Germania, lo ha imparato in quarant' anni di studio da biochimica: è la scienziata che ha regalato al mondo l'Rna messaggero per i vaccini contro il coronavirus, salvando migliaia di vite umane. Dal 2019 è vicepresidente senior di Pfizer-Biontech, dove lavora dal 2013. Per la prima volta nella sua vita è venuta a Milano dove ieri le è stata conferita la laurea honoris causa in medicina dall'Humanitas University, nel corso dell'inaugurazione dell'ottavo anno accademico dell'ateneo.
«Ho fatto un giro per la città e ne sono rimasta incantata, chissà perché non ci sono venuta prima», ha detto dal palco mentre, commossa, ringraziava per il riconoscimento. «Nel corso di questi quattro decenni dedicati alla ricerca scientifica ho avuto spesso momenti difficili, giorni in cui ero frustrata e delusa dai risultati. In quei momenti leggevo sempre una frase di Leonardo Da Vinci, scritta sul muro del mio laboratorio. Diceva «l'esperienza non falla, ma sol fallano i nostri giudizi, promettendosi di lei cose che non sono in sua potestà». Questa citazione mi ha sempre obbligato a pensare in modo critico».
Siamo all'alba di una quarta ondata di Covid-19 in poco meno di due anni, questa dovuta alla variante Omicron. Che sviluppi ci attendono?
«È una situazione in continua evoluzione, molto difficile da prevedere. Vedo molti colleghi fare esternazioni più o meno rassicuranti ma sono solo speculazioni. Nessuno sa con esattezza cosa accadrà. Una cosa però si può dire: quando venne scoperta la variante Delta, molte persone corsero a vaccinarsi e fecero bene. Perché più persone si vaccinano e meno possibilità ha il virus di evolvere e mutare. E quindi di continuare a diffondersi».
Il vaccino protegge contro la nuova mutazione del coronavirus?
«Per capire questo serve un numero molto ampio di dati, che ad ora non abbiamo. Lo avremo nelle prossime settimane, in un tempo anche relativamente breve. Ma servono dati veri per capire se i vaccinati si ammalano più o meno dei non vaccinati con Omicron. Nella scienza non c'è bianco o nero, ci sono molte sfumature, linee sottili che si intrecciano.
Non si può dire semplicemente "il vaccino protegge". Da cosa protegge? Probabilmente non dall'infezione perché abbiamo avuto dei casi, ma forse protegge dalla terapia intensiva. Ci sono più livelli di protezione: la positività, i sintomi, il ricovero in ospedale, la Rianimazione. Dobbiamo prima raccogliere i dati e poi studiarli per scoprirlo, analizzare quante più persone possibile».
Dopo la terza dose, ne servirà una quarta?
«Fino alla terza dose abbiamo notato che il livello di anticorpi nel sangue è più alto di cinque volte, dopo non sappiamo cosa succeda. In linea generale, però, se si hanno anticorpi nel sangue allora si è protetti in tutta l'area della cavità orale, naso compreso. E in questo modo non ci si infetta. Bisogna capire cosa succede dopo la terza somministrazione».
L'Ema ha dato l'ok per l'inoculazione del vaccino ai bambini tra i 5 e gli 11 anni. Quante dosi dovranno fare?
«Innanzitutto bisogna precisare che per un bambino la quantità di vaccino è ridotta rispetto a quella di un adulto, sono solo 10 microgrammi. Poi va valutata l'azione dell'mRna perché il vaccino ne rappresenta solo una piccola parte, mentre il virus è un pezzo ben più grande. Per questo serve una dose di certo per i bambini, io credo che ne serviranno due alla fine».
Come si combatte la resistenza, se non l'aperta ostilità, al vaccino? Cosa direbbe a un No Vax?
«Credo, basandomi sulla mia esperienza, che le persone davvero vogliano sapere come funziona il vaccino. In questi anni in molti mi hanno scritto, anche dall'Italia, per sapere cos' è Comirnaty. I livelli di preoccupazione sono diversi: c'è chi chiede come è prodotto, come viene usato, altri vogliono sapere cosa succede a cinque anni dall'inoculazione. Poi c'è chi scrive per dirmi che con il vaccino "il ferro viene incorporato nei cromosomi". A tutte queste persone rispondo, con ragioni scientifiche, che questa cosa non accadrà mai. Ma continueranno a crederlo perché, di base, non sanno cosa fa un biologo molecolare. Non hanno sufficienti conoscenze per sapere se ho ragione o torto. E per questo, continueranno a credere al loro credo. È una battaglia che non vinceremo mai».
Che effetto le fa ricevere questi riconoscimenti?
«Sono molto grata. Non sono abituata a stare sotto i riflettori. Se qualcuno vuole diventare scienziato per essere famoso, faccia l'attore. E anche se vuole diventare ricco: non studi scienze. In questi anni mi sono solo preoccupata dei miei esperimenti e non ho mai pensato che a un certo punto sarebbe arrivato qualcuno a riconoscere il merito del mio lavoro».
Dal palco ha ringraziato suo marito e si è rivolta alle giovani scienziate. Qual è il suo messaggio per loro?
«Ho sposato mio marito Belà Francia 42 anni fa, l'ho conosciuto mentre eravamo studenti. Mi ha sempre supportato nel mio lavoro, ha sempre accettato che la mia vita fosse dedicata alla scienza e alla ricerca. Per me, per sostenere i miei sogni, si è trasferito in molti paesi diversi: otto anni fa, quando mi sono spostata in Germania, è stato il primo a dirmi di andare. Non mi ha mai detto "smetti di fare ricerca e cucina", non si è mai lamentato per i molti weekend in cui non c'ero perché avevo esperimenti importanti da fare. Per questo alle giovani scienziate oggi dico: trovatevi il compagno giusto per la vita che abbia a cuore i vostri sogni e condivida le vostre scelte, e non dovrete scegliere un solo giorno tra la carriera e i figli».