Silvia Turin per "www.corriere.it"
Il caso di una ragazza romana è l’esempio di come a volte il coronavirus sia difficile da sconfiggere da parte delle difese immunitarie del nostro corpo. Una 25enne è alle prese con il Covid da settimane: ammalatasi a ottobre con sintomi pesanti e poi «creduta» guarita, dopo un mese dalla remissione si ritrova ora di nuovo positiva al tampone molecolare, con dolori e febbre alta.
La storia emblematica
«Ho iniziato a stare poco bene a metà ottobre - racconta la giovane all’ANSA - ma il primo tampone rapido il 13 ottobre era negativo. Dato che continuavo a stare male ho fatto un secondo tampone molecolare al drive-in di Fiumicino il 20 ottobre ed è risultato positivo». La prima volta i sintomi sono andati da un dolore fortissimo ai muscoli, con febbricola, fino a difficoltà respiratorie piuttosto pesanti, anche se la paziente è stata comunque seguita sempre in casa dal suo medico di base.
Il 30 ottobre si è sottoposta a un nuovo tampone molecolare all’ospedale Sant’Andrea, negativo. Il 13 novembre è arrivato il secondo tampone negativo, al drive-in di Santa Maria della Pietà. Pochi giorni fa si è ammalato di Covid-19, apparentemente a causa di un focolaio sul posto di lavoro, il padre. «Per precauzione - dice la ragazza - in famiglia abbiamo fatto tutti il tampone: sono risultata positiva al molecolare, ho avuto febbre a 38,5 mezzo e ora ho di nuovo dolori ai muscoli».
Il rischio dei tamponi rapidi
La vicenda della ragazza romana è emblematica di alcune evenienze che possono presentarsi per le persone alle prese con il coronavirus: innanzitutto l’eventuale errore di un test rapido. Allo stato attuale, i dati disponibili per i vari test sono quelli dichiarati dal produttore: mediamente 70-86% di sensibilità (dove «alta sensibilità» corrisponde a pochi falsi negativi) e 95-97% di specificità (dove «alta specificità» corrisponde a pochi falsi positivi). I test rapidi possono sbagliare e comunque non sono abbastanza sensibili da rilevare la presenza del virus in quantità scarse, cosa che accade agli esordi dell’infezione, quando le persone sono più contagiose, o alla fine di un’infezione.
Ricaduta o nuovo contagio (e malattia)?
Il secondo focus è sulla nuova malattia: come si legge nell’agenzia, non ci sono elementi certi per affermare in maniera se si tratti di una ricaduta della prima malattia o di una vera e propria reinfezione. Fatto sta che la ragazza prima è stata male, poi sembrava esserne uscita, e ora lotta di nuovo contro il virus. In diversi casi (specie in persone che hanno subìto un ricovero) il Covid si è visto rimanere all’interno del corpo e dei polmoni: persone con tamponi che non si negativizzano mai, oppure persone che a distanza di pochissimo ricevono prima un tampone negativo e poi uno positivo.
In questo caso, quando i due contagi sembrano vicinissimi, si parla piuttosto di ricaduta. Come quando un’influenza sembra superata e ci porta ad uscire troppo precocemente, con la conseguenza di costringerci nuovamente a letto. Ci sono però anche i casi di nuova (seconda) infezione da coronavirus. Sono davvero rari ma esistono: non tutti, durante la prima infezione, sviluppano anticorpi che li difendono dal virus al secondo incontro. Specie chi la prima volta ha avuto zero o pochi sintomi.
Con il vaccino saremo protetti
Per essere sicuri però che si tratti di reinfezione, bisognerebbe avere la sequenza genetica del virus rilevato la prima volta e quella della seconda volta e confrontare le differenze. Solitamente in caso di reinfezione le sequenze sono leggermente diverse. Sono analisi difficili da fare al di fuori di studi controllati in questa fase.
Quello che sappiamo per ora è che sono casi rari, ma capitano, e che il vaccino ci difenderà da questa evenienza perché sviluppa una risposta anticorpale del sistema immunitario più solida di quella fisiologica. E a livello immunologico, non ci sono motivi per non vaccinare chi si è già ammalato di Covid.