Estratto da www.blitzquotidiano.it
È trascorso mezzo secolo da quando un team di chirurghi in Texas ebbe l’intuizione di realizzare la prima protesi che sostituisce il sistema idraulico del pene. Ma a distanza di 50 anni l’intervento oggi sicuro ed efficace, fondamentale per tanti uomini colpiti da tumore alla prostata, non è ancora inserito nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) del nostro Paese.
A causa dei budget limitati, solo poche strutture pubbliche lo assicurano e appena il 10% degli italiani che hanno bisogno di una protesi peniena riesce a farsi operare in ospedale per tornare a una normale attività sessuale.
Gli esperti della Società Italiana di Andrologia (Sia) in congresso nazionale a Roma, chiedono che l’intervento sia “inserito quanto prima nei Lea perché non sono più accettabili differenze di genere nei trattamenti oncologici, nonostante il problema riguardi migliaia di uomini e imponga un decisivo cambio di passo”.
Ogni anno in Italia, infatti, circa 20mila uomini vengono sottoposti a un intervento di rimozione radicale della prostata a seguito di un tumore e di questi, almeno 10mila vanno incontro a disfunzione erettile con indicazione all’impianto di protesi peniena per risolverla. Ma la maggior parte dei candidati non ha accesso alle cure perché escluse dal nuovo decreto tariffe e le Regioni non sono tenute ad erogarle.
Così, denunciano gli andrologi, sono pochissimi gli impianti a disposizione, in altrettanti pochi centri pubblici, distribuiti in modo disomogeneo sul territorio. […]
Stando ai dati del Registro nazionale della Sia, a fronte di 3000 richieste, le protesi erogate sono circa 400 l’anno, concentrate per il 75% fra Nord e Centro. […]