Nicola Apollonio per “Libero Quotidiano”
OPERAI FUORI DALLA FABBRICA ARCELOR MITTAL A TARANTO
Da qualche anno, a Taranto e dintorni, ad essere sotto accusa è sempre quel «mostro» che si estende per 1.500 ettari, quasi il doppio dell' intera città. Con le sue ciminiere che svettano nel cielo perennemente offuscato, l' ex Ilva è diventata la causa di tutti i mali ambientali. Di conseguenza, anche di quelli che riguardano la salute soprattutto di chi abita nello stesso rione Tamburi dove tanti anni fa (era il 1965) lo Stato decise di impiantare la più grande acciaieria d' Europa.
Di certo, qualcosa di mostruoso c' è dietro quel muro di cinta che delimita l' immensa area dello stabilimento. Oltre ai numerosi marchingegni disseminati su tutta la superficie dell' opificio, ci sono gli altiforni che, come giganti, sprigionano ventiquattr' ore su ventiquattro fumi e gas nocivi, nonostante l' impegno per costruire sofisticati sistemi di controllo. In tutto questo tempo, ne hanno fatto di danni quei giganti che sputano polveri sottili, e per questo gli abitanti del quartiere (ma non solo loro) vanno in strada per reclamare, a ragione, il diritto alla salute. Di morti, dicono, si sono avuti fin troppi, uomini donne e bambini.
La questione, dunque, è seria. Solo che i dati di cui si è in possesso non assegnano una esclusiva responsabilità dell' Ilva in fatto di inquinamento ambientale grave: se raffrontati con altri dati della provincia di Lecce, per esempio, ci si accorge che il capoluogo salentino, pur non disponendo di industrie pesanti come l' acciaieria (o la Cementir e la raffineria Eni, anch' esse attive nella città jonica), conta sicuramente più morti di quanti se ne sono registrati a Taranto.
«Si fa presto a dare la colpa ad un solo impianto», dice il dott. Giuseppe Serravezza, responsabile scientifico della Lilt di Lecce . «Ilva, Cementir, raffineria dell' Eni, centrale termoelettrica a carbone Enel di Cerano sono sicuramente responsabili delle tante storie di malattie tumorali, cardiovascolari, neurologiche, endocrine che affliggono il Salento tutto, non solo Taranto».
Migliaia di vite umane già perse, e altre che purtroppo si è destinati a perdere se non si interviene al più presto. È questo il grido d' allarme che lancia l' oncologo. Come? Operando da subito con radicali interventi di riconversione almeno per gli impianti industriali più inquinanti. Quindi, occorre decarbonizzare al più presto, contribuendo così a ridurre l' immissione nell' ambiente dei tanti veleni cancerogeni, occorre dire «basta» al carbone sia all' Ilva sia alla centrale termoelettrica di Cerano.
Quando si scorre la pagella dei tassi in Puglia, si trova che la provincia di Lecce si colloca nei primi posti della classifica della mortalità complessiva per tumore del polmone, con una incidenza del 32% sulla totalità dei casi, addirittura al primo posto in Italia per la mortalità maschile. E anche i tumori alla vescica risultano in testa alla classifica, sicuramente superiori a quelli registrati nelle vicine province di Brindisi e Taranto. Anche in questo caso, storicamente, la provincia di Lecce ha mostrato fino al 2011, specialmente tra gli uomini, un tasso di mortalità superiore del 25% rispetto alla media nazionale e del 20% rispetto a quella regionale.
incendio all'ilva di taranto 2
NON SOLO DIOSSINA
In più, andando a ritroso e guardando un' altra classifica del 2004, risulta che il tasso grezzo di mortalità fra i residenti della provincia di Lecce era, all' epoca, di ben 3,1 punti percentuali superiore rispetto alla media pugliese. Ciò significa che, rispetto a quelli attesi, si erano verificati a quella data 240 decessi in più per tumore. Per il tumore al seno, invece, i dati sono più confortanti: la curva dell' andamento dell' incidenza è praticamente piatta dal 1970 e questo perché quella forma di tumore risulta più facilmente curabile.
Attenzione, però: non tutto succede a causa della diossina che sprigiona la combustione del carbone, c' è da fare i conti anche con la contaminazione del suolo, che sta creando una situazione drammatica e sulla quale gli esperti stanno concentrando tutta la loro attenzione. (Secondo il dottor Serravezza, non è escluso che a provocare il disastro ambientale di Taranto abbiano concorso anche le emissioni di altre industrie, per cui, visto che le molecole cambiano a seconda dei casi, si potrebbe facilmente risalire all' origine della diossina che da sempre viene addebitata all' Ilva come fonte di tutti i mali).
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E allora, visto che è ormai acquisito che il 90% dei casi di cancro è dovuto alla presenza nell' ambiente, di fattori di rischio oncologico, è evidente come in questi ultimi decenni, in provincia di Lecce, debbano essersi verificate significative modificazioni nell' ambiente e nelle stesse abitudini di vita, tale da spiegare un simile incremento che, in alcuni casi, supera il dato nazionale. Ilva? Eni? Enel?
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Cementir? Forse, hanno anche loro una buona parte di responsabilità. Però, come spiega il dottor Serravezza, visto che in altre parti del mondo la mortalità per cancro è in diminuzione già da tempo, probabilmente nel Sud Italia, in provincia di Lecce, c' è bisogno di una nuova politica sanitaria, ma anche e soprattutto di nuove scelte economiche e sociali. L' Ilva di Taranto non può essere, da sola, il male assoluto per un' intera regione.