Valeria Randone per "www.lastampa.it"
Un danno si impossessa del corpo. Lentamente ma in maniera pervasiva colonizza anche la mente. Prosegue e non si arresta: da acuto diventa cronico.
Invade le abitudini e i rituali quotidiani. Diventa la sgradevole presenza al risveglio, il compagno di banco di tutte le giornate, senza mai assentarsi, nemmeno durante i giorni rossi, rimbocca le coperte con la sua sintomatologia prima di andare a letto. Stiamo parlando delle malattie croniche.
Quelle malattie che non guariscono, che si attenuano ma poi ritornano e che obbligano chi le ospita a imparare a convivere con loro e con le loro cure.
La qualità di vita di chi ha una malattia cronica viene disturbata sino ad essere del tutto compromessa, in funzione del grado di gravità e stadio della malattia e dell’impatto dei farmaci. Senza mai tralasciare l’organo compromesso, con il suo simbolismo e funzionalità.
Il dolore danneggia anche la sessualità: ambito estremamente delicato, facilmente esposto all’erosione da dolore cronico.
Malessere fisico e sesso sono l’uno il contraltare dell’altro. Quando c’è il primo è complesso che ci sia il secondo, e viceversa. Quando una coppia si attarda tra le lenzuola sarebbe opportuno che nessuno dei due stesse male.
Piacere e dolore
Il rapporto tra piacere e dolore è complesso e controverso. C’è chi sostiene che la sessualità aiutata a stare bene, e chi invece ritiene che stando male non si può fare l’amore. Il rilascio di endorfine in fase post-orgasmica dovrebbe rappresentare un balsamo per le ferite del corpo e del cuore, e funzionare come un antidolorifico a lento rilascio: stemperare il dolore e migliorare l’umore.
Esiste però un “prima” di cui siamo obbligati ad occuparci. Per giungere alla fase conclusiva del rapporto sessuale bisogna partire da lontano, da molto lontano. Il partner ammalato, colui che convive con un dolore cronico e con possibili limitazioni dei movimenti, come nel caso dell’artrosi o artrite reumatoide, non ha uno spazio mentale consono alla dimensione del piacere.
Il partner ammalato stenta a prendere l’iniziativa, a pensarsi sessuato e seduttivo, in realtà, avrebbe soltanto voglia di non stare male.
Di non assumere quella bustina, di non dover fare quella puntura o doversi recare in ospedale per gli abituali controlli, di non dover assumere quella posizione antalgica e quella pozione magica per non sentire tropo dolore. Nella scala di priorità la sessualità fatta di scambio e di gioco, e non di obbligo domestico, sembra essersi trasferita alla fine della lista.
“In salute e in malattia”, siamo davvero certi che sia così? Avrò cura di te. Cosa fare?
Quando una malattia cronica si impossessa di un membro della coppia, lo trascina in un vortice di sofferenza e disagio, soprattutto senza fine. Scompagina ogni equilibrio di quella coppia e ha una ricaduta sulla sfera della sessualità.
Un partner ammalato, talvolta, per paura di smarrire il coniuge e per paura di poter essere tradito, si concede. Lo fa per dovere, non per piacere. Lo fa con il calendario alla mano: valuta quanti giorni sono trascorsi e si concede.
Il rapporto sessuale si svuota di significato, della sua indispensabile dimensione ludica e di scambio, di reciprocità e di desiderio.
La paura del protrarsi della malattia prende il sopravvento su tutto, e il desiderio sessuale si estingue, con ovvie ricadute a cascata sulla funzionalità della risposta sessuale.
Se uno dei due protagonisti della coppia sta male, ha un dolore cronico da malattia cronica che impenna come un cavallo imbizzarrito durante le stagioni difficili della vita, quando cambia il tempo, quando lo stress prende il sopravvento sul quotidiano e sulle emozioni residue, l’altro dovrebbe cercare di supportarlo, non soltanto di sopportarlo.
La sessualità, soprattutto in questi casi, parte da lontano, dalla dolcezza e dalla cura.
Dalle attenzioni e dallo spazio per l’altro. Il dialogo, in situazioni difficili e dolorose, diventa la strada maestra da poter imboccare per evitare un clima di litigiosità e un possibile processo separativo.
Un corpo ammalato, immagine corporea e sessualità
L’immagine corporea di un partner ammalato cambia e fluttua in funzione della malattia e dell’organo (o organi) compromessi: sono presenti segni visibili e invalidanti, altri invisibili e profondi, altri ancora che dal corpo si spostano alla psiche o viceversa (come nel caso di depressione cronica).
Le reazioni emotive e le risorse psichiche cambiano da persona a persona, dalla capacità o incapacità adattiva nei confronti della malattia, dalle strategie di coping - per coping si intende l’insieme dei meccanismi di adattamento messi in atto dal paziente per far fronte alle nuove emergenze da malattia -, dalla sua accettazione o meno dei sintomi. Dalla qualità del rapporto di coppia, dalla rete di supporto familiare o sociale, dal supporto psicologico.
Il legame con il partner cambia per contenuti e significati. Prende il sopravvento il bisogno di attenzione e di tenerezza, il bisogno di conferme rispetto alla nuova immagine corporea, tra mutilazioni e riparazioni, il bisogno di sensualità piuttosto che di sessualità.
Il nuovo corpo ferito dalla convivenza con la malattia viene risarcito da uno sguardo empatico, amorevole e contenitivo del compagno di vita.
Le cicatrici, visibili o invisibili, del corpo e dell’anima, che hanno contribuito a creare un’immagine corporea frammentata, possono essere rese meno drammatiche grazie a un legame empatico e profondo con il partner; nei casi più severi da aiuti psicologici mirati.
Come riaccendere il desiderio
Le malattie croniche, qualunque esse siano, per evitare che diventino un terremoto per la stabilità di coppia, hanno bisogno dell’aiuto di entrambi i partner: quello ammalato e quello sano. È utile che il partner sano provi ad avere con il partner ammalato un approccio meno esigente e più affettuoso, in modo da consentire un recupero graduale del desiderio sessuale profanato dalla presenza del dolore. E che il partner ammalato glielo consenta.
Un altro elemento di fondamentale importanza è il dialogo.
La negazione della malattia e delle angosce ad essa associate, unitamente alla rimozione di quanto accaduto, sono due potenti meccanismi di difesa della psiche, che in questi casi andrebbero analizzati e raggirati.
Un dialogo autentico, affettuoso e rassicurante aiuta il partner ammalato a sentirsi a suo agio tra le braccia, anche mentali, del coniuge; a spostare lo sguardo dai segni della malattia alla possibilità di emozionarsi, di desiderare e di essere ancora desiderato.
Anche il partner sano, però, è a rischio di burn out e di conseguente usura emotiva.
Quando il ruolo di caregiver - di chi si prende cura - si protrae nel tempo, anche il partner accudente può andare in contro al rischio di usura emozionale e psico-fisica.
Dovrà, quindi, compatibilmente con tutto, ritagliarsi uno spazio per sé: senza sensi di colpa o un eccessivo senso del dovere.
Un iper accudimento all’interno della coppia porta con sé il rischio di un depauperamento del desiderio sessuale e dell’erotismo. Quindi, la cura fisica e psichica di chi sta cronicamente male dovrebbe essere suddivisa, ove possibile, tra il partner e le altre figure di riferimento.
Alcune patologie psichiche o psichiatriche croniche, silenti e invalidanti, oltre a quelle meramente organiche, diventano un tarlo usurante per il paziente e la sua la coppia. Averne cura e rispetto equivale a non imboccare i vicoli bui della sofferenza, della solitudine e della crisi di coppia. Anche chi vive intrappolato dentro la gabbia di una malattia cronica può guardare fuori ed evitare di vivere in una condizione cronica di anestesia emozionale e sensoriale.
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