Danilo Di Diodoro per il “Corriere della Sera – Salute”
«Ho 54 anni, e da almeno un mese mi sento quasi sempre stanca e triste, in testa mi girano pensieri negativi, vedo un futuro nero per me e per la mia famiglia. Sono impiegata in una grande banca nazionale, ma sempre più spesso non riesco a concentrarmi, e ogni compito che dovrei svolgere mi sembra noioso e ripetitivo.
Eppure prima il mio lavoro mi piaceva. Ma adesso il carico di impegni mi sembra costantemente superiore alle mie forze. Il fatto è che ci sono ogni giorno innovazioni e cambiamenti, che gli impiegati giovani affrontano senza battere ciglio, addirittura con molto entusiasmo. Invece io sento ogni volta montare l'ansia, sono inadeguata, non ho stima delle mie abilità lavorative».
«E per di più il mio mal di testa ultimamente è peggiorato. La sera vado a letto stanchissima, però ho molti risvegli notturni e la mattina alle cinque mi ritrovo con gli occhi sbarrati e non c'è modo di riaddormentarmi. È il momento peggiore, perché continuano a girarmi in testa quei pensieri, mi sento incapace di prendere iniziative, non so come affrontare la giornata, mi giro e rigiro nel letto e, quando mi alzo, andare al lavoro mi sembra un'impresa insormontabile. Sono molto attratta dai dolci, ma poi finisce che digerisco male, anche quando ho fatto una cena frugale.
E mi fa impressione pensare che mi trovo nella stessa situazione in cui si trovava mia madre, che io allora criticavo quando diceva di non avere la forza di scuotersi. Temo di stare scivolando nella depressione, dovrò decidermi a farmi aiutare, a parlarne almeno con il mio medico di famiglia».
«Sono un medico ospedaliero, sempre stato orgoglioso del mio lavoro, che però da un po' di tempo non mi dà più soddisfazioni. Mi sembra invece di portare un inutile peso eccessivo sulle spalle. Sarà anche per tutta questa burocrazia che è andata a sommarsi al lavoro clinico.
Non sopporto l'affollarsi delle richieste dei pazienti, di persona e per email, le rivendicazioni, le notti di guardia, e tutti quei software che non funzionano mai come dovrebbero. So che non dovrebbe essere così, ma dopo quasi vent' anni di professione attenta ed empatica, mi ritrovo a provare un distacco quasi cinico nei confronti dei pazienti. Cerco di evitare che in reparto me ne siano affidati di nuovi, sono polemico con i colleghi, insofferente per le riunioni.
E purtroppo ho anche la convinzione di non essere più abbastanza aggiornato, visto che mi manca la voglia di studiare e stare al passo.
«Forse mi sono veramente spremuto troppo negli ultimi tempi, mentre sentivo le mie risorse fisiche e mentali che si esaurivano. E non riesco a dormire, sono esausto, ma la sera il sonno arriva tardissimo, molto dopo la mezzanotte, e spesso solo dopo aver preso un ipnotico.
La mattina, quando suona la sveglia, non ho recuperato neanche la metà delle forze e delle risorse mentali che mi servirebbero per una giornata di lavoro. Così sempre più spesso chiamo l'ospedale per dire che non sto bene e prendo qualche giorno di malattia. Non l'avrei mai creduto, ma temo di dovermi considerare in burnout».
Un confine poco definito Due storie di vita che si muovono su quel confine poco definito che separa un disturbo depressivo da una condizione di burnout. Molti sono gli aspetti simili tra queste due condizioni, ma molte sono anche le differenze, a guardar bene. Innanzitutto va detto che un disturbo depressivo è un vero e proprio disturbo psichico, catalogato e descritto nel DSM-5 la quinta edizione del Manuale diagnostico statistico dei disturbi psichici redatto dall'American Psychiatric Association.
Ne esistono diverse forme, e una prima distinzione da fare è tra depressione minore e depressione maggiore. La depressione minore, che comunque nonostante il termine non va sottovalutata, è caratterizzata da umore triste, senso di inadeguatezza e autosvalutazione, difficoltà a concentrarsi, sconforto, affaticabilità, insonnia o ipersonnia, perdita di appetito o fame costante.
La depressione maggiore ha gli stessi sintomi, ma molto più accentuati e inoltre chi ne soffre prova sensi di colpa, perde interesse e capacità di gioire, ha spesso anche sintomi fisici a carico di diversi apparati, può perdere peso o ingrassare sensibilmente, può provare uno stato di agitazione psicomotoria o al contrario di rallentamento, può avere pensieri di morte o suicidio.
Invece il burnout non è un vero disturbo psichico, ed è definito come una condizione occupazionale. La World Health Organization lo descrive così nell'ICD-11, la versione attuale dell'International Classification of Diseases (ICD).
«Il burnout è una sindrome conseguente a uno stress cronico sul posto di lavoro che non è stato ben gestito. Ha tre dimensioni: la sensazione di perdita di energie ed esaurimento; un aumento della distanza dal proprio lavoro e sensazioni di negativismo o cinismo verso di esso; un senso di incapacità e di mancanza di realizzazione. Il burnout si riferisce specificamente a fenomeni che avvengono nel contesto occupazionale e non dovrebbe essere applicato per descrivere esperienze in altre aree della vita».
Il vero burnout è il risultato di uno stress che è conseguenza di particolari e prolungate condizioni di lavoro tali da non poter essere facilmente modificate. In altre parole è la conseguenza di uno squilibrio prolungato tra la domanda di impegno ed energie e risorse che un lavoratore sente di poter mettere in campo. In questo senso si differenzia anche da condizioni di stress acuto da lavoro che è una forma di stress legata a condizioni occasionali e transitorie di particolare richiesta di impegno.
Quindi depressione e burnout sono condizioni diverse, pur con alcune aree di sovrapposizione. Secondo Gordon Parker e Gabriela Tavella della School of Psychiatry dell'University of New South Wales di Sydney in Australia, autori di un articolo in merito pubblicato sul Journal of Affective Disorders, il burnout ha alcuni punti in comune con la depressione minore. Ad esempio il fatto che entrambe le condizioni possono essere in qualche modo collegabili causalmente a difficoltà in ambito lavorativo, possono manifestarsi con perdita di energia e fiducia in se stessi, possono causare insonnia.
«Ma ci sono anche precisi punti di distinzione», dicono Parker e Tavella. «Il burnout è solitamente considerato "conseguenza precipitante" dovuto a un eccesso di carico lavorativo, mentre la depressione minore è associata a "stressor" interpersonali che compromettono l'autostima. Al contrario, l'autostima non sempre è compromessa nel burnout».
Compresenza di sintomi Può tuttavia accadere, a complicare le cose, che chi è depresso possa più facilmente di altri cadere preda del burnout, ed è vero anche il contrario, ossia chi è in burnout lavorativo si senta così sconfitto da sviluppare vere e proprie condizioni depressive. E infatti gli psichiatri sono sempre più spesso chiamati ad affrontare situazioni di cosiddetta «comorbidità», la compresenza in una stessa persona di sintomi appartenenti a condizioni diverse. «La comorbidità è comune in psichiatria» dicono Parker e Tavella. «Si tratta di situazioni che da un punto di vista terapeutico vengono affrontate in maniera sequenziale, ossia si tratta per prima la condizione che si è presentata per prima; oppure in maniera gerarchica, quando si tratta per prima la condizione che si presenta con maggior gravità».
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