Letizia Gabaglio per “la Repubblica - Salute”
Arrivare presto. Prima che il tumore si diffonda. Quando è così piccolo da poter essere eliminato con una " mini- operazione". Magari persino prima che si formi, individuando le persone ad alto rischio e che sono ancora in tempo per prevenirlo. Oppure, se il tumore non può essere asportato, trovare il suo minuscolo tallone d' achille: quella mutazione molecolare che possiamo colpire con farmaci di precisione.
E poi risvegliare il sistema immunitario, affinché torni a riconoscerlo e a combatterlo, selezionando sempre meglio i pazienti che rispondono all' immunoterapia e puntando a migliorare la loro qualità di vita. Sono le strategie di un piano internazionale contro il tumore del polmone che punta a dimezzarne la mortalità in soli 5 anni.
Non è una promessa, ma un' ambizione: un traguardo impossibile solo fino a poco tempo fa, oggi realistico se si uniscono tutte le forze. Non per nulla il piano è quello della Lung Ambition Alliance.
Dal palco dove, a Milano, si è tenuto l' incontro " Tumore al polmone: raddoppiare la sopravvivenza si può. In 5 anni", nell' ambito dei " Talks on Tomorrow Repubblica", Giorgio Scagliotti, direttore dell' Oncologia Medica all' università di Torino, va dritto ai numeri: « Possiamo portare a oltre il 30% la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi combinando prevenzione, nuovi metodi per la diagnosi precoce e nuove terapie ».
Lo scorso 4 dicembre insieme a lui c' erano altri pezzi da novanta dell' oncologia polmonare. « Oggi - continua Scagliotti - solo il 15-20% di tutti i tumori del polmone diagnosticati è completamente asportabile con la chirurgia e quindi potenzialmente guaribile. Per questo una delle prime azioni da fare è aumentare questa percentuale».
Come? Chiamando i forti fumatori a fare lo screening: una tac a basse dosi di radiazioni che ha ormai dimostrato la sua efficacia. « Con una spesa per persona equivalente a quella di 10 pacchetti di sigarette - continua l' oncologo - potremmo risparmiare i milioni oggi necessari a trattare la malattia in stadio avanzato. Nel prossimo futuro avremo una combinazione di test ed esami che ci permetterà di arrivare sempre prima alla diagnosi. Intanto, il primo passo è coinvolgere attivamente chi è più a rischio: nel Regno Unito, i centri portano le unità mobili con le Tac davanti ai supermercati per coinvolgere le persone».
Chiamare i forti fumatori a partecipare allo screening ha un altro vantaggio: quello di ingaggiarli in un percorso di disassuefazione dal fumo, che è il primo fattore di rischio in assoluto per questa neoplasia.
«La grande maggioranza dei casi di cancro al polmone - spiega Silvia Novello, docente di Oncologia medica all' università di Torino, responsabile dell' Oncologia Toracica dell' Aou San Luigi e presidente di Walce Onlus (Women Against Lung Cancer in Europe) - è attribuibile alle sigarette: parliamo dell' 85% delle diagnosi.
Il rischio è 14 volte superiore nei fumatori rispetto ai non fumatori, e aumenta di 20 volte nei forti fumatori » . E infatti l' incidenza del tumore al polmone in Italia sta salendo nella popolazione femminile, dove negli ultimi anni è cresciuta molto l' abitudine al fumo.
«Il rischio è 14 volte superiore nei fumatori. Le ultime stime indicano, per il 2019, 42.500 diagnosi, di cui 29.500 tra gli uomini e 13 mila tra le donne. Anche per chi si è ammalato allontanarsi dalle sigarette fa la differenza: chi fuma ha una risposta meno buona alle terapie e più effetti collaterali.
Le strategie per la disassuefazione dal fumo sono diverse, come diversi e soggettivi sono i meccanismi del processo di interruzione. Per questo è importante sapere che esistono centri anti- fumo che hanno competenza in questi percorsi.
« Come è importante ricordare - conclude l' oncologa - che non è mai troppo tardi per smettere: è un atto di prevenzione vera e propria, in grado di abbattere in maniera significativa la mortalità per questa patologia. Senza il fumo, il tumore del polmone sarebbe raro e non, come è oggi, un big killer».