Maria Teresa Martinengo per "la Stampa"
Il primo caso è arrivato nel 2005, il secondo nel 2007, un altro due anni dopo. Poi sempre di più, fino a contarne 37 nel triennio 2019 - 2021 e 162 in totale. È la crescita esponenziale delle famiglie con bambini, bambine, ragazzi o ragazze con disforia di genere che si sono rivolte ai servizi torinesi dedicati, quelli che possono aiutarle nell' accompagnare i loro figli e figlie a comprendersi e a seguire il percorso che in una minoranza di casi, nella maggiore età, può portare al cambiamento di sesso.
Chi vive questa condizione non percepisce la sua identità di genere come corrispondente all' assegnazione avvenuta alla nascita.
Le prime famiglie si sono rivolte al Cidigem, il Centro Interdipartimentale Disturbi Identità di Genere dell' ospedale Molinette, mentre dal 2009 è entrato in funzione l' ambulatorio Varianza di Genere dell' ospedale infantile Regina Margherita, entrambi appartenenti alla Città della Salute e della Scienza di Torino, i cui medici e psicologi collaborano e si confrontano. Di questi tempi molto si discute di «identità di genere», ma rispetto ai minori la questione emerge soprattutto attraverso vicende drammatiche. L' ultima, poche settimane fa, dolorosissima, è stata quella di Orlando Merenda, diciottenne torinese, morto suicida sotto un treno.
«La domanda di aiuto da parte delle famiglie oggi è diventata molto più frequente che in passato, e i centri, con le forze che hanno, sono sommersi», racconta Damiana Massara, psicologa, coordinatrice del Gruppo di lavoro minorenni del Cidigem (che accoglie dai 16 anni) e coordinatrice della Commissione Minorenni dell' Osservatorio Nazionale sull' Identità di genere a cui fanno riferimento quasi tutti i centri italiani dove è possibile effettuare l' intervento chirurgico.
«L' osservazione dei 162 casi dice qualcosa: 100 sono minori "assegnate femmine alla nascita", 62 sono "assegnati maschi". Un tempo si diceva maschi o femmine "biologici". Quando abbiamo cominciato - prosegue Massara - era il contrario, arrivavano più maschi. Le famiglie erano spaventate, si preoccupavano per loro, la condizione delle femmine aveva meno risonanza. Nel tempo è cresciuta la sensibilità e oggi arrivano le femmine». In questo momento sono 16 le famiglie che attendono un primo colloquio al Regina Margherita.
Per la dottoressa Massara non ci sono cause «sociali» per questo aumento. «I casi sono tanti perché il servizio è conosciuto dai pediatri, dagli psicologi, dalle stesse famiglie. Noi ne parliamo in tutti i corsi che teniamo. Il problema è sempre esistito - osserva la psicologa - ma ora viene affrontato e chiamato col suo nome. Cambiamento significa riconoscimento della dignità, del rispetto. Tanti bambini e ragazzi che non si sentono "nella norma" si isolano, non vanno più a scuola, hanno paura di essere evitati, temono il bullismo. Il punto è riconoscere il loro travaglio, assicurare loro lo spazio nella società, nella scuola».
La neuropsichiatra infantile Chiara Baietto, che coordina l' ambulatorio del Regina Margherita, parla di «un percorso decisamente lungo, che per qualche bambino può incominciare a 2-5 cinque anni, ma l' età media è 14-15 anni, ed è differente da caso a caso.
Le famiglie ci presentano il problema di un figlio che non si sente di appartenere al sesso assegnato e chiedono una consulenza.
Sono famiglie attente, non liquidano la cosa proibendo comportamenti, ma cercano di capire». Con i più piccoli lavoriamo per eliminare le paure in loro e nella famiglia, facciamo prevenzione delle psicopatologie. Naturalmente, più i bambini e i ragazzi crescono in un ambiente sereno, meno cadono in ansia, depressione, meno mettono in atto tentativi di suicidio o forme di autolesionismo, molto comuni in questi casi».
La dottoressa Baietto spiega che «spesso il bambino o la bambina, il ragazzo o la ragazza si sentono "strani". Per questo il percorso per comprendere è molto lungo, capita che i ragazzi non sappiamo inquadrare il loro problema e vadano per tentativi, vedono magari una persona transgender su internet e dicono "forse sono così".
Arrivando poi alla pubertà, solo un terzo conferma la disforia di genere». Ancora: «La pubertà è il momento spartiacque. Se dopo l' inizio l' adolescente si vive male si può intervenire con i farmaci bloccanti, per dare ancora tempo al ragazzo o alla ragazza per considerare cosa è meglio per lui o lei. Dai 16 anni si può avviare la terapia con ormoni che inducono il sesso desiderato. La transizione non è certamente una scelta facile.
Tutto il percorso è molto complesso, comunque si risolva. Per questo in tutta Italia i servizi dovrebbero essere più strutturati e numerosi».
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