Stefano Graziosi per “La Verità”
Nuovi sospetti di insider trading piovono sulla famiglia Pelosi. Il 17 giugno, il marito della speaker della Camera, Paul, ha acquistato da uno a cinque milioni di dollari in azioni di Nvidia: società californiana che opera nel settore tecnologico e che risulta tra i principali produttori di semiconduttori d'Oltreatlantico.
Dov' è il problema? È presto detto. Il Senato degli Stati Uniti si stava infatti apprestando a votare su un disegno di legge, volto a rafforzare il sostegno al comparto nazionale dei chip. In particolare, oltre a stanziare circa 52 miliardi di dollari in sussidi, il provvedimento introduce agevolazioni fiscali per le aziende statunitensi del settore.
Ora, la Camera alta ha dato un ok procedurale l'altro ieri, mentre l'approvazione definitiva da parte del Congresso è attesa a giorni, anche perché Nancy Pelosi ha già dato il suo endorsement nelle scorse ore. In questo quadro, nella giornata di martedì il titolo di Nvidia ha registrato un forte rialzo in Borsa.
Ebbene, qualche malizioso ha messo in collegamento l'acquisto delle azioni di questa società tecnologica, effettuato da Paul Pelosi, con l'autorità della speaker. In particolare, Craig Holman - che lavora come lobbista presso il think tank progressista Public Citizen - ha espresso delle preoccupazioni.
«Sicuramente fa balenare lo spettro che Paul Pelosi possa avere accesso ad alcune informazioni legislative privilegiate», ha detto. Critiche alla speaker sono arrivate anche dal deputato repubblicano, James Comer. Profondamente irritata, la Pelosi ha replicato tramite il suo portavoce Drew Hammill. «La speaker non possiede azioni», ha dichiarato.
«Come potete vedere dalle informative richieste, con le quali la speaker collabora pienamente, queste transazioni sono contrassegnate come effettuate dal coniuge. La speaker non ha alcuna conoscenza preliminare o successivo coinvolgimento in alcuna transazione», ha aggiunto.
Chiariamo subito che non si registrano evidenze di illeciti da parte della famiglia Pelosi (tra l'altro, lo Stock Act non vieta ai parlamentari americani le transazioni di azioni, limitandosi a richiederne notifica entro 45 giorni). Si pone tuttavia un significativo tema di opportunità politica. Anche perché non è la prima volta che la speaker finisce nella bufera per le alacri attività finanziarie del marito.
A dicembre, il New York Post rivelò infatti come Paul disponesse di un portafoglio azionario dal valore di svariati milioni di dollari.
Anche allora furono sollevati sospetti di insider trading nei confronti della speaker della Camera: un fattore che irritò la sinistra dem, a partire dalla deputata Alexandria Ocasio-Cortez. Va da sé che, pur in assenza di illeciti, la situazione complessiva rischia di avere degli effetti politici notevoli, aumentando le tensioni interne al Partito democratico e mettendo in difficoltà quest' ultimo in vista delle elezioni di metà mandato che si terranno il prossimo novembre.
Va anche detto che comportamenti controversi nella compravendita di azioni hanno riguardato vari parlamentari americani di entrambi gli schieramenti.
Come che sia, al di là di questi problemi, il disegno di legge sui semiconduttori ha una valenza politica di ampia portata e mira a rendere gli Stati Uniti più competitivi con la Cina nel settore dei chip. Un settore sempre più strategico, come dimostra il caso di Taiwan.
L'isola figura infatti tra i principali produttori di semiconduttori al mondo: un fattore, questo, che spiega almeno in parte la tensione che si registra tra Washington e Pechino sul suo destino.
La Cina mira a quella che definisce una «riunificazione» e, in questo senso, ha aumentato la pressione su Taipei negli scorsi mesi (tra esercitazioni militari e incursioni nel suo spazio di difesa aereo). Tra l'altro, dopo aver già messo in campo investimenti per realizzare degli impianti negli Stati Uniti e in Giappone, il colosso taiwanese dei semiconduttori, Tsmc, aveva reso noto di voler aprire degli stabilimenti in Europa: un'intenzione tuttavia raffreddatasi a giugno.
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