Estratto dell’articolo di Carlo Bastasin per “la Repubblica”
Pnrr Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
C’è discordia tra gli osservatori nell’interpretare i buoni risultati della crescita del Pil italiano negli ultimi trimestri. La maggior parte degli analisti ritiene che lo sviluppo del Paese stia prendendo una strada nuova e che decenni di crisi abbiano selezionato uno strato di imprese temprato dalle difficoltà e le cui piccole dimensioni hanno assicurato flessibilità e adattamento ai mercati internazionali.
Una minoranza osserva invece che questo nocciolo di resistenza è troppo piccolo per trainare il resto del Paese e che l’economia rimarrà insabbiata nella stagnazione. Nel breve termine, due fenomeni peseranno sui piatti della bilancia: il primo riguarda la stabilità dell’economia e della finanza globali e l’altro è il rischio che l’effetto della fiducia suscitata in Italia dagli aiuti europei possa esaurirsi di colpo se si scoprisse che i fondi sono impiegati male.
RAFFAELE FITTO ALLA CAMERA ALLA DISCUSSIONE SUL DL PNRR
La crescita del Pil italiano negli ultimi 40 mesi è stata superiore a quella tedesca e spagnola, simile a quella francese, ma inferiore a quella di tutti gli altri Paesi europei. La Spagna sta recuperando grazie al settore dei servizi, mentre la Germania sta operando una difficile transizione nel settore automobilistico, in un contesto internazionale che frena un sistema produttivo tanto incardinato nel commercio globale.
Nelle ultime settimane, due rapporti della Banca mondiale e dell’Ocse hanno ipotizzato addirittura scenari di recessione globale nei prossimi trimestri. Le conseguenze sull’economia europea sono già visibili e di riflesso lo stanno diventando quelle sull’economia italiana la cui manifattura si è fermata di colpo.
A chi pensa che l’economia italiana abbia svoltato strutturalmente, c’è da chiedere che cosa sarebbe successo già nel 2023 senza i contributi eccezionali e irripetibili degli ultimi anni: i risparmi accumulati durante la pandemia, l’illusione monetaria, i crediti d’imposta relativi agli incentivi immobiliari, l’aumento del debito e il contributo dei fondi europei.
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Con una valutazione fin troppo pessimistica, il Def di aprile stimava che l’80% della crescita del 2023 sia puramente effetto dei fondi del Pnrr e che il resto sia trascinato dagli stimoli degli anni precedenti. Forse c’è in gioco un fattore diverso, visto che una crescita significativa era già stata messa in cascina nel primo trimestre, senza che gli effetti diretti del Pnrr si fossero ancora materializzati.
RAFFAELE FITTO E PAOLO GENTILONI
Il fattore che forse sfugge alle analisi è l’effetto-fiducia che l’attesa del Pnrr ha creato nelle imprese nel 2022. Lo scorso anno, infatti, l’aumento degli investimenti fissi è stato molto vigoroso. L’accumulazione di capitale è cresciuta del 9,4 per cento, superando di quasi un quinto il livello del 2019. Non solo gli investimenti in costruzioni, ma anche gli acquisti di beni strumentali sono saliti a un tasso ben superiore a quello del Pil. L’effetto-fiducia suscitato dal Pnrr è stato sottovalutato forse perché siamo abituati a considerare ogni aumento della spesa pubblica con scetticismo.
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raffaele fitto giancarlo giorgetti paolo gentiloni
Nel caso del Pnrr si aggiunge un altro fattore “non ricardiano”, cioè il fatto che il costo del debito è in parte sopportato non dagli italiani, ma dagli europei, mentre in altra parte ha un costo particolarmente basso. In tali condizioni, in Italia si è creato un effetto di fiducia inedito che deve aver convinto numerose imprese a investire prima ancora che gli effetti del Pnrr si vedessero. Ma che cosa succederà se tali effetti si rivelassero deludenti, se cioè stessimo impiegando male le risorse? Ci sarà un effetto di sfiducia altrettanto potente? In tal caso ci potrebbero essere crisi simili a quelle dei decenni scorsi?
Anche qui la risposta è duplice: da un lato una crisi italiana è improbabile perché la quota di debito pubblico in mano a non residenti è ormai solo circa un quarto del totale. Dall’altro lato, le condizioni circostanti non sono benigne perché nei prossimi tre anni i Paesi dell’Ocse dovranno rifinanziare sul mercato circa metà dei loro debiti pubblici complessivi, raccogliere cioè 23mila miliardi di dollari.
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raffaele fitto giancarlo giorgetti paolo gentiloni 1
Per il governo si tratta di prendere atto dell’importanza dell’effetto fiducia di cui finora ha beneficiato. Ne deve tener conto nel discutere le nuove regole fiscali europee. Ottenere regole che consentano minore disciplina fiscale potrebbe resuscitare quella sfiducia nella stabilità italiana che hanno pesato sugli investimenti delle imprese in Italia negli ultimi trent’anni e che solo il Pnrr ha allontanato.
raffaele fitto giorgia meloni giorgia meloni e raffaele fitto