Sara Bennewitz per “la Repubblica”
Da Vodafone a Nintendo, i fondi arabi tornano a fare shopping di marchi e aziende. Anche grazie al petrolio alle stelle e al dollaro ai massimi da vent' anni, che hanno gonfiato i loro portafogli, mentre la crisi geopolitica che ha come epicentro la Russia ha fatto vacillare le quotazioni di tante aziende occidentali a valutazioni interessanti.
La società di tlc degli Emirati Arabi ad esempio ha puntato 3,3 miliardi di sterline sui servizi tlc di Vodafone e ieri il fondo Pif della Arabia Saudita ha speso 2,7 miliardi di dollari per il 5% dei giochi giapponesi di Nintendo. Ma anche l'Italia sta giocando da forte polo d'attrazione.
«L'alta professionalità dei gestori dei fondi degli Emirati - spiega Alessandro Daffina, ad di Rothschild in Italia - ha portato a un cambiamento delle dinamiche, delle strategie e della tipologia di investimento». Daffina ha aiutato il fondo di Abu Dhabi a rilevare nel nostro paese la distribuzione agroalimentare di Unifrutti e quello dell'Arabia Saudita per le auto di Pagani. «Prima il focus degli investimenti era sui brand - spiega ma in questa fase post Covid c'è grandissima attenzione alla tecnologia applicata a qualsiasi segmento, come l'healthcare, l'agro-business, la medicina, settori in cui il nostro Paese è leader per la qualità delle imprese ».
L'Italia da tempo è tra le destinazioni predilette dei fondi sovrani come quello di Dubai o del Qatar (che ha investito al fianco di Enel in Zambia e ha appena lanciato un'Opa su Coima). Ma anche di private equity che raccolgono capitali negli Emirati, come Investcorp (che sta studiando l'acquisto del Milan) o Peninsula (che ha rilevato le profumerie Kiko).
O ancora di emiri e imprenditori come Hussain Sajwani, dell'immobiliare Damac Properties, che ha comprato Roberto Cavalli, o la famiglia degli emiri Al Thani, che ha rilevato Valentino. «L'Italia del governo Draghi, vista dall'estero, è tornata a giocare un ruolo preminente in Europa - spiega Pietro Vitale, general manager della sede di Gianni & Origoni di Abu Dhabi - Non dimentichiamo che gli Emirati, tra l'altro, stanno dimostrando di essere un hub in grado di convogliare investitori anche da altre parti del mondo». Infine anche la farmaceutica e la sanità tricolori sono tornate nel mirino con operazioni come la vendita di Kedrion o del software di Dedalus.
«Nel settore medicale abbiamo eccellenze come il San Raffaele, riconosciute in tutto il mondo - prosegue Daffina - Da parte dei fondi arabi c'è poi grande interesse per le rinnovabili. L'innovazione tecnologia rappresenta uno strumento non solo per il miglioramento della produttività ma anche per la sostenibilità ambientale. E gli Emirati, alla ricerca di nuovi modelli economici per rispondere alle esigenze di uno scenario profondamente cambiato, trovano in un sistema come quello italiano un modello molto interessante per i loro investimenti».
Ma i capitali degli emiri, oltre a sviluppare marchi, tecnologie e infrastrutture, adesso sono anche alla ricerca di aziende da risanare. «Stiamo registrando un forte interesse e una ricerca d i contatti da parte di investitori istituzionali e family office mediorientali per investire in Italia - spiega Sergio Iasi, ad del fondo di turnaround Itaca, che ha appena investito su Landi Renzo - con l'obiettivo di mettere insieme, come hanno fatto con Itaca, i loro capitali e le nostre expertise per operazioni complesse ».