Maximilian Cellino per il “Sole 24 Ore”
Borse sull'orlo del precipizio, rendimenti obbligazionari in fibrillazione e dollaro sul punto di sferrare un colpo da knock-out alle altre divise mondiali. Sembra proprio un disco rotto quello suonato a ripetizione dai mercati finanziari in questa settimana cruciale per gli investitori, densa com' era di appuntamenti con le Banche centrali (e non solo loro) a fare da protagonista.
LA FEDERAL RESERVE BANK DI NEW YORK
Volendo trovare un filo conduttore per raccontare la trama ordita sui mercati giorno dopo giorno, e ribadita ieri, è in effetti proprio l'atteggiamento sempre più aggressivo mostrato da chi governa le politiche monetarie a muovere in serie tutti gli ingranaggi. Il fatto che il punto d'arrivo dei tassi per la Federal Reserve possa spostarsi più in alto (fino al 4,75% secondo le attuali proiezioni dei membri del board della banca Usa) spinge per esempio i rendimenti dei bond, costringe gli operatori a correggere il premio al rischio richiesto per investire in azioni e manda in orbita il biglietto verde.
Non si tratta certo dell'unico elemento che condiziona gli investitori, visto che i segnali di una recessione in arrivo sono sempre più evidenti (ieri gli indici Pmi europei sono ulteriormente scesi sotto il livello spartiacque di 50) e che la decisione della Gran Bretagna di ridurre le tasse, di cui si parla a fianco, ha di sicuro creato ulteriore nervosismo. La marcia dei tassi (e la fiammata dell'inflazione da spegnere, che l'ha originata) è però il tratto distintivo, non solo di questa settimana, ma di tutto il 2022.
Lo è ovviamente per il mondo dei titoli di Stato, dove ieri in Europa si è assistito all'abbattimento di una nuova barriera, il 2% per il Bund decennale per la prima volta da oltre 10 anni, che porta con sé una serie di conseguenze a catena. Il BTp con analoga scadenza si è per esempio riportato al 4,35%, superando i livelli raggiunti a metà giugno. Allora, va detto, lo spread era su livelli superiori rispetto ai 233 punti base a cui si è fermato ieri sera, tanto per ricordare la «tregua» che gli investitori internazionali hanno accordato al nostro Paese in vista del voto di domani.
Negli Stati Uniti i Treasury viaggiano al 3,73% sulla scadenza decennale e addirittura al 4,19% sui 2 anni, con una marcata inversione della curva a riflettere da una parte l'atteggiamento sempre più aggressivo della Fed e dall'altra una recessione che appare ormai inevitabile. Dai bond alle azioni il passo può a volte essere però breve: «L'andamento atteso dei tassi di interesse è ora superiore a quanto ipotizzato in precedenza e il nuovo scenario che adesso incorporiamo nel nostro modello di valutazione supporta un rapporto fra prezzi e utili di 15 volte rispetto al precedente di 18 volte e implica un obiettivo a fine anno per l'indice S&P 500 di 3.600», avverte Goldman Sachs.
Per la banca d'affari Usa l'indice principale di Wall Street, che prima veniva proiettato a 4.300 punti a dicembre, potrebbe perdere dunque un ulteriore 5%, prima riprendersi (forse) nei sei mesi successivi e tornare a quota 4.000. I grandi operatori stanno dunque rifacendo i conti, inglobando i nuovi scenari economici, ma anche politici. L'ulteriore ribasso di New York e la disfatta dell'Europa (dove Piazza Affari ha ceduto il 3,4%, Parigi il 2,3% e Francoforte il 2%) vanno proprio nella direzione di quel riequilibrio.
Il tema del dollaro forte non sfugge alla logica di una Fed arrembante, ma quando si parla di euro (che ieri ha raggiunto nuovi minimi ventennali scivolando sotto la soglia di 0,98) anche la debolezza del Vecchio Continente ha il suo peso, non certo di indifferente. «Nel caso di un'interruzione totale delle forniture di gas russo e di un ulteriore razionamento in Europa - avverte Vincent Mortier di Amundi - l'impatto negativo sui fondamentali si estenderebbe ulteriormente, portando il cambio a scendere sotto il nostro obiettivo di breve termine di 0,94 e ad avvicinarsi addirittura ai livelli dei primi anni 2000».
Pochi sul mercato sembrano disposti a scommettere sul contrario, ma qualcuno che prova a remare controcorrente lo si trova. «Attenzione a proiettare automaticamente nel futuro la recente solidità del dollaro», mette in guardia Julian Marx di Flossbach von Storch, ricordando che «i tassi d'interesse Usa dovranno inevitabilmente invertire la rotta quando inizieranno a soffocare il mercato immobiliare o a frenare la crescita economica generale» e segnalando anche come possibili elementi di svolta in negativo elementi di ordine politico (con le elezioni di metà mandato in arrivo) e un indebitamento complessivo (famiglie, aziende e Stato) ancora leggermente superiore rispetto a quello dell'Eurozona. Resta in ogni caso cruciale capire se, e soprattutto quando, questo cambio di scenario potrà essere realtà.