Stefano Righi per “l’Economia - Corriere della Sera”
Nei corsi di economia e finanza si continua ad insegnare quella che è una delle regole base della gestione dei propri asset e che deriva direttamente dal buon senso: mai mettere tutte le uova nello stesso paniere. Ovvero, diversificare. È per questo motivo che il risultato trimestrale di Unicredit, l' unica banca italiana realmente diversificata su più mercati in vaste aree dell' Europa, colpisce in maniera particolare. Nel primo trimestre del 2020 il gruppo guidato da Jean Pierre Mustier ha contabilizzato perdite per 2,7 miliardi di euro, ovvero 900 milioni al mese, 30 milioni al giorno.
Un risultato inatteso. Sarebbe stato molto più comprensibile se, invece, un simile risultato l' avesse registrato l' unico altro gruppo italiano paragonabile per dimensione a Unicredit, ovvero Intesa Sanpaolo. La banca guidata da Carlo Messina concentra infatti le proprie attività sul mercato domestico.
Con un' iperbole, potremmo dire che Intesa tiene sì tutte le uova nello stesso paniere e, ai tempi di Covid-19, sarebbe risultato ben più comprensibile una pesante battuta d' arresto in questo contesto. Invece, Intesa ha chiuso con 1,5 miliardi di utile netto, addirittura 101 milioni in più di quanto aveva fatto un anno fa, mentre Unicredit è finita in profondo rosso.
C' è evidentemente qualcosa che non funziona. Va però riconosciuto al ceo Mustier di aver messo in atto e per primo una politica particolarmente tutelante davanti alle mille variabili messe in discussione dal diffondersi del coronavirus. Considerate le prime sei banche per dimensione, al 31 marzo sono stati accantonati per fronteggiare gli effetti dell' epidemia, in particolare prestiti che probabilmente non verranno restituiti, 1,5 miliardi di euro. Di questi, 902 milioni sono nei conti di Unicredit, Intesa ha accantonato 300 milioni annunciando di essere pronta ad aggiungere nel corso dell' anno altri 1.200 milioni, il Monte dei Paschi di Siena 193 milioni, 70 Banco Bpm, 50 a testa Ubi e Bper.
Ma ugualmente il paracadute aperto dall' ex paracadutista Mustier non basta per giustificare la velocità di caduta. E anche il mercato deve essersene accorto. Tra le stesse sei banche, ai valori di apertura di Borsa di venerdì scorso, 15 maggio, Unicredit è con Bper quella che ha perso di più: -41 per cento su base annua (Bper è arrivata a -47%), meno 55 per cento negli ultimi tre mesi, proprio come la banca emiliano-romagnola. Staccate, anche di molto, le altre. Ma nessuna è in attivo.
La consueta analisi dei conti trimestrali, dedicata alle banche di struttura tradizionale, con forma sociale di spa e quotate sul listino principale della Borsa di Milano (si escludono così Banca Generali, Banca Mediolanum, Finecobank e altre di minore dimensione perché con un business poco comparabile), evidenzia un pesante gap rispetto a un anno fa. Il totale degli utili cumulati dagli otto istituti analizzati passa dai 2,593 miliardi di euro del 31 marzo 2019 a una perdita di 1,481 miliardi di euro registrata nel primo trimestre di quest' anno: un buco di 4.075 milioni.
Un anno fa erano tutte in utile. Si andava dagli otto milioni del Creval ai 1.175 milioni di Unicredit. Allo scorso 31 marzo, solo sei erano in utile e anche l' ampiezza della «forchetta» si era ridotta, passando dai 6 milioni di Bper ai 1.151 milioni di Intesa. Alla somma dei sei gruppi con i bilanci in utile (1.468,256 milioni di euro), si devono sommare le performance algebricamente negative di Unicredit (-2,706 miliardi) e di Mps (-243,5 milioni). La situazione appare molto delicata, soprattutto perché la pandemia ha solo parzialmente impattato sul primo trimestre.
Quali saranno gli effetti sulla frazione d' anno in corso? E sulle prossime? Eppure, qualche spunto di ottimismo emerge dai bilanci a fine marzo. Intesa Sanpaolo ha aumentato dell' 11,7 per cento i proventi operativi, Banco Bpm dell' 8,8 per cento. Ubi ha aumentato del 4,9 per cento le commissioni nette, Bper del 38,98 per cento, affiancando anche una crescita del margine d' interesse del 12,44 per cento e della redditività operativa del 20,44 per cento.
In tempi di interessi compressi da un costo del denaro che si aggira attorno a quota zero l' incremento delle commissioni (che spesso sono costi sopportati dalla clientela) evidenzia il tentativo di cambiare rotta rispetto al passato. Il Creval mostra interessi netti in calo dell' 11,61 per cento, il Credem l' aumento delle commissioni del 16,2 per cento.