Lorenzo Lamperti per “La Stampa”
Ancora una volta, la Cina sorprende. La banca centrale di Pechino ha tagliato di dieci punti base due tassi d'interesse chiave. Una mossa in direzione esattamente opposta rispetto alla strategia della maggior parte delle banche centrali, a partire da quelle occidentali. I tassi sui prestiti sono stati portati dal 2,85% al 2,75%, quelli sui pronti contro termine a sette giorni dal 2,1% al 2%. Obiettivo: sostenere l'economia attraverso l'immissione di 2 miliardi di yuan (circa 290 milioni di euro) nel sistema finanziario.
Una decisione inattesa per gli analisti, visto che solo pochi giorni fa il Quotidiano del Popolo aveva scritto che «data la necessità di mantenere la stabilità finanziaria e dei prezzi, la possibilità di tagliare i tassi di interesse nei prossimi mesi è diminuita». Ma la banca centrale si è sentita costretta ad agire diversamente a fronte di un andamento economico incerto. Nel secondo trimestre la crescita è crollata allo 0,4% e un paio di settimane fa il Politburo ha cancellato l'obiettivo annuale del +5,5% limitandosi a indicare come target «il miglior risultato possibile».
I dati di luglio hanno ampliato le preoccupazioni. La produzione industriale è cresciuta del 3,8% su base annua, meno rispetto a giugno e ben al di sotto del previsto 4,6%. Le vendite al dettaglio sono aumentate solo del 2,7% su base annua, quasi la metà delle stime del 5% del governo e in calo rispetto al 3,1% di giugno. Un chiaro segnale che la fiducia dei consumatori non ingrana, anche o soprattutto a causa della prosecuzione della strategia "Zero Covid" voluta da Xi Jinping.
Nell'isola di Hainan, ancora in questi giorni decine di migliaia di turisti sono bloccati per un lockdown a causa di un focolaio Covid. Gli investimenti in capitale fisso nei primi sette mesi dell'anno sono aumentati del 5,7%, mancando le aspettative di crescita del 6,2%. La crescita del credito al settore privato è rallentata dall'8,9% all'8,6% rispetto a giugno.
Altri tre dati preoccupano il governo cinese. Il primo è quello della disoccupazione giovanile urbana, cresciuta per il quarto mese consecutivo e giunta al picco del 19,9%: il dato più alto dal gennaio 2018. Gli altri due riguardano l'immobiliare. Le vendite di settore si sono contratte del 29% su base annuale, superiore al -18% di giugno. Pesante calo del 45% anche per le nuove costruzioni. La spia di un'economia in difficoltà. Un tempo motore della crescita, ora zavorra.
Da oltre un anno le vendite di nuovi appartamenti sono in caduta libera, mentre milioni di case pre-vendute a circa 2 milioni e mezzo di famiglie sono rimaste incompiute, a causa della crisi che ha colpito i principali costruttori cinesi. Oltre 30 aziende, compreso il colosso privato Evergrande, sono andate in default su bond offshore.
Il governo teme ricadute sociali. Nelle scorse settimane si sono verificate proteste di massa nelle città di Jingdezhen e Zhengzhou per il congelamento delle costruzioni di case già acquistate tra il 2020 e il 2021. In tanti hanno dichiarato che non pagheranno più le rate dei mutui: per le banche sono a rischio fino a 370 miliardi di dollari.
Secondo Bloomberg, a luglio gli investitori stranieri hanno ritirato 3,1 miliardi di dollari dai titoli azionari onshore cinesi. E tra gli analisti c'è chi ritiene che neppure i nuovi stimoli possano invertire il trend di sfiducia.-
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