Estratto dell’articolo di Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
«Sono contrario a questo nazionalismo economico centrato sull’industria». Gran sacerdote, nella Casa Bianca di Bill Clinton e in quella di Barack Obama, della globalizzazione in versione democratica, Larry Summers attacca Joe Biden: lo accusa di aver gettato alle ortiche quel libero scambio che per decenni è stato la cifra dell’America tanto di destra quanto di sinistra, preferendo una chiusura nazionalista costosa (sussidi pubblici e aumento dell’inflazione) e poco efficiente.
L’irruento Summers è noto per i suoi giudizi tranchant, ma la sua sortita fa emergere il disagio di una parte della vecchia guardia democratica: Biden, che fu vice di Obama, sta demolendo la legacy economica dei suoi predecessori basata su globalizzazione, ripudio del dirigismo e una fede nella «saggezza» dei mercati figlia della rivoluzione reaganiana degli anni Ottanta, corretta con meccanismi di protezione sociale.
Guardando alle presidenziali 2024 parliamo soprattutto del malessere americano per il ritorno di due candidati giudicati inadeguati: uno per l’età troppo avanzata, l’altro perché ha inferto duri colpi alla democrazia Usa e ora deve affrontare processi a raffica. Tutto vero, ma si parla poco di quanto questi due uomini hanno cambiato la traiettoria economica degli Stati Uniti (e, di conseguenza, del resto del mondo).
E se da tempo è evidente che Trump isolazionista, statalista (pronto all’uso e all’abuso dei poteri presidenziali in ogni area), che diffonde paura e la trasforma in voti, ha sepolto la Reagan revolution basata sullo «Stato minimo» e quello che lui stesso definiva «un appello alle migliori speranze, non alle paure dell’America», ora colpisce come Biden sta sconfessando Clinton e Obama. Elogi ai sindacati e condivisione delle frenate di Trump sulla globalizzazione sembravano solo tentativi di recuperare consensi tra i lavoratori.
Ma con le leggi chiave della sua presidenza (sussidi per l’energia verde, l’hi-tech digitale e il piano opere pubbliche) Biden ha inaugurato una politica industriale (di dubbia efficacia per salari e lavoro in tempi di fabbriche automatiche) che farà confluire migliaia di miliardi sulle imprese nazionali mentre le barriere con la Cina e i limiti al libero scambio segnano un cambio di stagione: da quella del cittadino-consumatore di Clinton e Obama, a quella che mette al centro il cittadino-lavoratore.
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