Arcangelo Rociola per “La Stampa”
Alla fine anche Google ha gettato la spugna. Basta assunzioni, lavorare tutti di più. È in sintesi il messaggio che l'amministratore delegato del colosso americano, Sundar Pichai, ha indirizzato qualche giorno fa ai propri dipendenti. Alcuni analisti americani hanno intravisto nella mail del manager la filigrana di un possibile taglio del personale.
Ma un fatto è certo. Anche Mountain View deve fare i conti con un periodo difficile per le società tecnologiche. Dopo un decennio di crescita che sembrava inarrestabile, accelerata durante gli anni della pandemia, tutto il comparto oggi deve fare i conti con un quadro economico assai più incerto, dove inflazione e tensioni internazionali minano alle basi uno dei capisaldi su cui si fonda il valore di queste società: la fiducia nel futuro.
Un'istantanea per capire le difficoltà del 2022 la fornisce il Nasdaq, la sezione della Borsa di New York dove si concentrano i tecnologici. Da inizio anno a oggi ha perso il 27%. E l'effetto sulla vita delle imprese non si è fatto attendere. Imperativo ora è: ridurre i costi.
Google ha annunciato lo stop alle assunzioni. Amazon le ha ridotte. Facebook (con la holding Meta, che comprende anche Instagram e Whatsapp) ha fermato l'arrivo di nuovi ingegneri e profili tecnici. Apple non rafforzerà più gli staff dei Genius bar. Microsoft ha annunciato un taglio dell'1% della propria forza lavoro (181 mila dipendenti).
Le cinque società appena elencate compongono, nell'ordine, l'acronimo con cui vengono indicate le società tecnologiche a più alta capitalizzazione di mercato: Gafam. Sono le più ricche. Non solo nel tech, ma tra le più ricche società al mondo. Aziende con le spalle abbastanza robuste per sopportare questo periodo in attesa ti tempi migliori. Ma sotto le cinque sorelle simbolo del boom della new economy c'è una pletora di aziende e start-up che hanno dovuto adottare misure molto più drastiche. Colpendo anche il mercato del lavoro italiano.
Gorillas, la start-up dei fattorini che consegnano la spesa a casa, il 4 luglio scorso ha annunciato che avrebbe lasciato l'Italia licenziando 540 dipendenti. Nata con lo scoppio della pandemia da Covid, ha raccolto 1,3 miliardi di investimenti raggiungendo la valutazione di 3 miliardi in una manciata di mesi. Soldi arrivati da investitori desiderosi di trovare la nuova gallina dalle uova d'oro dell'economia digitale.
Ma le riaperture prima, la guerra e il costo del denaro poi, hanno cambiato tutto e la società si è trovata all'improvviso con un numero di dipendenti eccessivo rispetto al mercato. Gorillas è il simbolo della fine di un'euforia che ha irradiato un arco che va dalle start-up alle criptovalute.
Ma tagli al personale li ha decisi anche il colosso Tesla, che lo scorso mese ha annunciato un taglio del 10%, mille delle 10.000 persone impiegate. Elon Musk, amministratore delegato della società, allora aveva parlato di un «bruttissimo presentimento» per l'economia. Alibaba, colosso cinese dell'ecommerce, ridurrà del 15% della propria forza lavoro (39.000 dipendenti), complice anche la stretta di Pechino sul tech.
Non se la vede bene Netflix: cresce meno e perde abbonati (200 mila in meno) e ha disposto 150 licenziamenti. Le cyclette hi-tech di Peloton sono finite sul red carpet degli investitori durante la pandemia. Poi il crollo, improvviso, inatteso seppur prevedibile, con le riaperture, si è tradotto nel licenziamento di 2.800 persone, il 20% della sua forza lavoro. Esempi di un quadro a tinta unica. Che diventa più cupa se guardiamo alle società che lavorano con le criptovalute.
proteste contro amazon a new york
Bitcoin nel 2021 è passato da 15 a 60 mila dollari. Una forza che si è tradotta in vento che ha gonfiato le vele di piattaforme per la compravendita e scambio di criptovalute. Coinbase, il principale exchange mondiale di cripto, si è quotata ad aprile 2021 al Nasdaq. Oggi il prezzo di una sua azione vale l'85% in meno dopo il calo di Bitcoin che è tornato a valere circa 19 mila dollari.
Anche Coinbase licenzierà: 1.100 persone, il 20% del proprio personale. Così come decine di società che lavorano nello stesso settore, senza contare quelle che hanno già dichiarato fallimento come Celsius, che voleva diventare un po' la banca delle criptodivise: buco da 1,2 miliardi e 2 milioni di clienti che ora rischiano di perdere tutto. Che sia la fine di un'era o un momento in cui il mercato cercherà un aggiustamento è difficile dirlo. A farne le spese, per ora, sono risparmiatori e dipendenti.
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