1 - ROMA SI RIAVVICINA A PECHINO “SUI DAZI LA UE NON SI ACCANISCA”
Estratto dell’articolo di Filippo Santelli per “la Repubblica”
Archiviata la Via della seta, Tajani prova ad aprire «la Via di Marco Polo». Dietro al titolo ad effetto, la strategia del ministro degli Esteri e del governo è chiara: impostare con la Cina una nuova relazione di diplomazia economica, che possa far crescere le esportazioni e attrarre investimenti cinesi.
[...] In pubblico e in privato, nell’incontro di Verona con il ministro del Commercio cinese Wang Wentao, lo sforzo di Tajani è stato mandare messaggi di «sintonia». A costo di passare dritto su varie questioni calde. Non è un mistero che Wang sia in Europa per scongiurare l’imposizione da parte di Bruxelles di dazi sulle auto elettriche, le pale eoliche o altri prodotti cinesi.
Uno studio del think tank tedesco Kiel mostra che le industrie cinesi ricevono sussidi fino a nove volte superiori a quelle dei maggiori Paesi Ocse. Tajani ha offerto una sponda che a Bruxelles non piacerà, dicendo che «la Commissione fa il suo lavoro e le regole vanno rispettate », ma anche che «non ci deve essere accanimento». In privato, ha anche ricordato a Wang che fra poco ci sarà una nuova Commissione.
Che ci siano opportunità di export per le aziende italiane in Cina è evidente: si è discusso di salute, alimentare, e-commerce, e di un nuovo volo Shanghai-Venezia. La commissione economica bilaterale che si è riunita a Verona diventerà appuntamento annuale.
Nell’attesa di aperture di Pechino, spesso promesse e di rado concretizzate, la partita più immediata è quella degli investimenti cinesi in Italia, a cui Tajani dice che il governo è «favorevole, se non delocalizzano ma producono crescita». Tra le 50 aziende cinesi a Verona ci sono il colosso delle batterie Catl e le aziende delle auto elettriche Nio e Xpeng.
Ma se è vero che l’uscita dalla Via della seta non ha provocato ritorsioni, molti strascichi ha lasciato la decisione del governo di esercitare il golden power su Pirelli, tema che Wang ha messo sul tavolo. Tajani ha risposto mostrando dati secondo cui l’Italia ha usato i poteri speciali su una piccola quota di operazioni, e in pochissimi casi di aziende cinesi. [...]
2 - CINA, NON SI PUÒ FARNE A MENO
Estratto dell’articolo di Giorgio Barba Navaretti per “la Repubblica”
joe biden in videocollegamento con xi jinping
La lunga visita in Cina di Janet Yellen in questi giorni è un ennesimo segnale che del regno di mezzo non possiamo fare a meno, nonostante le crescenti voci di frammentazione economica e anche nell’orizzonte di incertezza registrato dal downgrading di Fitch a negativo dell’outlook economico.
La missione impossibile della Segretaria del Tesoro americano era convincere Pechino a limitare la propria capacità produttiva nell’industria high tech, soprattutto verde (pannelli solari, automobili elettriche ecc.) e i sussidi che l’alimentano, in quanto danneggiano l’industria americana [...]
Nonostante la minaccia di contromisure, vedi un aumento dei dazi Usa, è stato concesso ben poco. Per due ragioni. Primo, perché la transizione della manifattura dal basso costo del lavoro all’alto valore aggiunto del high tech è il nuovo cuore della strategia di sviluppo cinese voluta da Xi, che certo non farà passi indietro.
Secondo, perché comunque l’Occidente non può fare a meno dell’interscambio con la Cina e dunque le barriere commerciali non saranno mai tali da ridurlo significativamente. La visita di Yellen, la seconda da luglio, è in sé stessa un segnale che la frammentazione vera non ci sarà mai, per quanto gli scambi e gli investimenti verso il regno di mezzo possano rallentare.
Per le stesse ragioni Xi ha visitato la California in novembre e accolto, facendosi piazzista in capo, i leader delle principali aziende Usa, invitandoli a investire. Un Occidente senza Cina, un mondo diviso in due blocchi commerciali ed economici, è un’opzione troppo costosa per realizzarsi veramente.
Per quanto ci siano preoccupazioni di sicurezza, di distorsione della concorrenza e differenze nei sistemi di valori e di governo, alla fine varrà sempre il vecchio adagio: business is business. Pechino è diventata un gigante in 20 anni o poco più, passando dal 3% al 12% del commercio mondiale ed è oggi il principale partner di quasi tutti i Paesi.
[...] Qualunque sarà il futuro assetto geopolitico, una grande parte dell’economia mondiale continuerà a girare intorno al gigante asiatico. Se l’Occidente riducesse i legami con l’Oriente, sarebbe comunque relegato ad una fetta di mondo. Ossia, rinuncerebbe a interagire con oltre un terzo del Pil mondiale, la quota dei Paesi emergenti asiatici nel 2023. Il tema non è solo quantitativo.
Pechino è anche diventata rapidamente un fornitore onnipresente di componenti importantissimi nelle catene di produzione, che continuano ad essere geograficamente disperse. Insomma, la Cina e i pezzi di Asia che si porterebbe dietro sono troppo grandi e troppo indispensabili per pensare di ricostruire un sistema di scambi tutto ad Occidente che la escluda. Anche i dati per ora confermano l’ineludibilità di Pechino.
L’interdipendenza commerciale con gli Stati Uniti si è ridotta tra il 2021 e il 2023 dal 14% a meno del 12% (misurata dal rapporto tra gli scambi tra i due Paesi sul totale del commercio mondiale). Ma è anche vero che i livelli non sono lontani da quelli pre-Covid. E il commercio con l’Europa è invece cresciuto da 561 a 737 miliardi di euro, in gran parte importazioni. Segnali un po’ contraddittori ma non certo di una radicale inversione di tendenza. [...]
Del resto, il Fondo Monetario Internazionale stima che sia per l’Europa che per gli Stati Uniti un processo accelerato di riposizionamento della produzione fuori dalla Cina avrebbe effetti devastanti: tra il 2% e il 4% di perdita di Pil. E per Pechino i costi sarebbero ancora maggiori. Tutto questo ci fa ben sperare che gli scambi economici possano tenere le guerre, commerciali e reali, lontane e che per quanto piova, continueremo a tenerci la Cina vicina. Business is business.
antonio tajani wang wentao antonio tajani wang wentao