Giovanni Pons per la Repubblica
Il tempo stringe e Telecom Italia è sempre più in mezzo al guado, stretta tra una situazione finanziaria difficile e il nuovo governo che non riesce a prendere una decisione strategica sul suo futuro. Giovedì 15 vi sarà un nuovo passaggio importante per la governance della società che coopterà Massimo Sarmi in quota Vivendi al posto del dimissionario Frank Cadoret.
Il manager, con un passato in Tim e alle Poste, ora presidente di Asstel e di Fibercop (la società della rete secondaria in cui è presente il fondo Kkr con il 37,5%), nelle settimane scorse era stato bocciato due volte dal Comitato nomine perché non aveva i requisiti di indipendenza ma ora c'è il via libera, anche della Cdp, come non indipendente.
Sarmi è voluto dai francesi ed è molto gradito al ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, per cui le sue quotazioni sono in ascesa e la sua aspirazione sarebbe quella di fare il presidente esecutivo o, secondo le ultime voci raccolte, l'amministratore delegato con al suo fianco un direttore generale operativo. Ma al momento, su questi due ulteriori passaggi, non vi è ancora alcun accordo tra i soci e i consiglieri.
Il cda di giovedì sarà inoltre preceduto da un Comitato rischi che dovrà discutere di un nuovo problema che sta emergendo con forza, il ritardo nella stesura della rete in fibra nelle aree grigie dei 7 lotti del Pnrr che Tim si è aggiudicata. L'ex ministro Vittorio Colao aveva posto come condizione un avanzamento di almeno l'1% nel 2022, ma al momento nei lotti Calabria nord, Calabria Sud, Sardegna e Liguria non sono neanche partiti gli scavi.
Questo fatto ritarda anche la tabella di marcia di Fibercop, i cui obbiettivi di copertura per il 2022 erano stati rivisti alla luce del Pnrr e del fatto che Iliad aveva chiesto a Tim un aiuto per la stesura della sua rete. E se nel 2022 non è stato fatto nemmeno l'1% difficile pensare che si possa realizzare il 20% nel 2023, con il rischio che senza l'infrastruttura in fibra si andrà a rallentare anche la rete 5G e il Polo strategico nazionale, cioè il cloud della Pa.
Intanto la situazione finanziaria del gruppo continua a preoccupare dal momento che l'attività ordinaria brucia cassa per almeno 900 milioni all'anno e a Tim, visto il suo rating e le condizioni molto più rigide dei mercati, è preclusa la possibilità di emettere nuovi bond.
Di qui la necessità di finanziarsi con nuove operazioni straordinarie, che però sono bloccate su tutti i fronti. Il governo Meloni, attraverso il sottosegretario con delega Alessio Butti, ha stoppato l'offerta che Cdp stava presentando per l'acquisto della rete Tim, ma non ha messo sul tavolo un piano alternativo. L'idea iniziale di Butti di un'Opa su Tim da parte di Cdp, totale o parziale, sembra ormai accantonata perché arricchirebbe solo gli azionisti aggiungendo altro debito al gruppo (di cui non si sente il bisogno) e penalizzerebbe gli attuali obbligazionisti che non hanno protezioni rispetto a nuovi creditori entranti.
Dal canto suo il ministro Adolfo Urso, competente sulla materia, ha avviato colloqui con Vivendi, Cdp e i fondi Kkr e Macquarie, per un piano alternativo che prevederebbe la creazione di un veicolo partecipato da Kkr e Macquarie, con la Cdp in minoranza, che rilevi la rete ma senza programmi di unione con Open Fiber, visti i paletti che potrebbe porre l'antitrust Ue. Ma questo piano, per ora, non ha alcun via libera governativo.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
A questo punto la soluzione più semplice e lineare sarebbe quella di procedere alla scissione in due di Tim - Netco e ServiceCo - lasciando la società quotata in Borsa, cosicché sia il mercato a definirne i valori relativi a seconda di come verrà ripartito il debito e il personale del gruppo. Questa potrebbe essere l'idea di Sarmi se gli verranno assegnati adeguati poteri, ma tutto dipende dalle decisioni che il governo vorrà prendere da qui a fine anno. Perché il tempo stringe e in mancanza di una svolta le possibilità di un aumento di capitale sono in costante crescita.