Sara Bennewitz per “la Repubblica”
Non è solo merito della «vennootschapsbelasting», una sorta di scioglilingua che in olandese significa «imposta sul reddito delle imprese». L’aspetto fiscale è uno fra quelli che spingono sempre più società europee a battere bandiera olandese, ma ad attirarle tra l’Aja ed Amsterdam sono anche altre caratteristiche di quel sistema: dalla possibilità di disegnare un governo societario su misura per ogni esigenza, fino a un funzionamento da Formula 1 del sistema amministrativo e giudiziario.
In Olanda l’aliquota media sulle imprese è del 25%. Meno di quanto paga oggi Exor in Italia - visto che l’imposizione media da noi è del 27,5% - ma più di quanto avrebbe pagato l’anno prossimo, visto che nel 2017 la stessa aliquota dovrebbe scendere al 24.
Un vantaggio non enorme, dunque, al quale bisogna però aggiungere altri dati decisamente positivi per chi sceglie di spostarsi in quel Paese: intanto in Olanda è sconosciuta quell’Irap che da noi pesa il 3,9% del fatturato e porta l’imposizione complessiva oltre il 31%; e poi alcune operazioni caratteristiche di una holding, come la vendita di una partecipazione con la relativa plusvalenza, sotto le Alpi pagano un’imposta del 5% mentre tra i polder non hanno imposizione.
«Ma il sistema olandese è vantaggioso anche perché offre una serie di servizi e garanzie, tra cui la certezza del diritto, la semplicità del sistema normativo e la velocità dei tempi della giustizia, che lo rendono molto interessante non solo sotto l’aspetto fiscale», spiega Stefano Simontacchi, esperto di diritto tributario e partner dello studio Bonelli Erede che l’Olanda la conoscebene, anche perché da sedici anni ha una cattedra di Diritto tributario internazionale all’Università di Leida.
E in effetti negli ultimi anni le società che hanno trovato una seconda vita olandese sono spuntate - è il caso di dirlo - come tulipani. L’hanno scelta colossi del largo consumo come Unilever e Nestlé, ma anche l’europeissima Airbus, attirati anche dalla possibilità di emettere azioni «di fedeltà », con diritti di voto che si moltiplicano a seconda del periodo per cui sono stati tenuti i titoli: in questo modo Exor si è già assicurata un saldo controllo di Fca, e alla stessa maniera gli Agnelli potranno in futuro rafforzare il controllo sulla finanziaria.
Altri vantaggi? «Faccio un esempio concreto - spiega ancora Simontacchi -. Se sei una holding con diverse partecipate in tutto il mondo avere la sede in Olanda ti aiuta perché hai un regime agevolato sulla doppia tassazione, ad esempio per i dividendi e le royalties di una controllata in Cina. Ma hai un vantaggio anche grazie ai trattati bilaterali sugli investimenti che ha stipulato con molti Paesi: se si verifica un problema che deve essere risolto è chiaro fin da subito qual è il foro di competenza e quindi qual è la norma a cui fare riferimento per stabilire chi ha ragione. E ad esempio sulla giustizia tributaria in Olanda si arriva a una sentenza definitiva in tre anni, mentre in Italia ce ne vogliono dieci».
Anche per questo l’Aja figura in fondo alla lista dei Paesi con maggiore incertezza fiscale, una classifica al contrario dove i peggiori stanno in testa e i più virtuosi in coda. Uno studio presentato dieci giorni fa da Giorgia Maffini dell’Ocse indica l’India come il Paese da incubo per avere a che fare con la macchina fiscale e la sua incertezza, seguita da Brasile e Russia. L’Italia è al sesto posto, mentre l’Olanda veleggia gloriosa in ventunesima posizione. Meglio di lei fa solo la Svizzera.
L’effetto Brexit porterà molte novità anche nella concorrenza, non solo fiscale, per attrarre le imprese straniere. Proprio l’Olanda - che peraltro è tra i Paesi più desiderosi di uscire dall’Unione europea - potrebbe avere nell’immediato forti benefici dalla scelta di Londra. L’Italia, che pure si è mossa con la legislazione sul “patent box”, i brevetti, rischia invece di perdere ancora pezzi del suo sistema industriale e finanziario. La Whirlpool, che di recente ha acquisito Indesit - ad esempio - secondo alcune fonti starebbe meditando anch’essa una mossa «olandese».
E la speranza di creare in Europa un piano di gioco piatto dal unto i vista fiscale pare destinata a restare per l’appunto una speranza. «La storia non mi rende molto ottimista sulla possibilità che i governi europei si mettano d’accordo sulle aliquote. Se ne parla già dagli anni ‘60. La proposta al momento in discussione di avere un’unica base consolidata per tutta l’Unione Europea sarebbe un passo avanti, ma è difficile immaginare che sia realizzabile politicamente », commenta Micheal Devereux, professore che si occupa di tassazione delle imprese alla Saïd Business School dell’Università di Oxford. Fino ad allora sarà più facile e conveniente affidarsi alla «vennootschapsbelasting ».