Luca Cifoni e Marco Conti per www.ilmattino.it
Nessun aumento del carico fiscale, progressività del sistema e lotta all’evasione. Intorno a queste tre parole d’ordine, ancora da riempire di contenuti, Mario Draghi potrebbe riuscire nell’impresa di mettere d’accordo partiti che, anche in tema di tasse, fino a poco fa si trovavano su posizioni contrapposte.
Naturalmente il presidente incaricato ha proprie idee che nel corso della sua carriera (soprattutto quando guidava la Banca d’Italia) ha avuto modo di esprimere anche pubblicamente. Il metodo però, in particolare per quanto riguarda l’Irpef, prevede il confronto con le forze politiche, insomma un tavolo che dovrà definire nei dettagli le nuove regole.
Andrà anche chiarito il perimetro esatto dell’intervento ma è altamente probabile - in linea con quanto indicato anche nella bozza di Piano nazionale di ripresa e resilienza - che abbracci in chiave di semplificazione tutti gli aspetti del sistema tributario e quindi non solo l’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Anzi proprio l’occasione di un riassetto complessivo permetterebbe al nuovo governo di rispettare l’impegno a non aumentare il prelievo e se possibile a ridurlo; ed allo stesso tempo di allinearsi alle richieste dell’Unione europea, che storicamente sollecita un alleggerimento del peso delle tasse sul lavoro. Esigenza che del resto è quanto mai attuale in una fase in cui la crisi pandemica rischia di trasformarsi in un’ondata di disoccupazione. Di certo non ci sarà una nuova patrimoniale, ma gli attuali tributi - compresi quelli su consumi e immobili - potrebbero essere rivisti e razionalizzati.
SERGIO MATTARELLA MARIO DRAGHI
Il tema della riduzione del cosiddetto cuneo fiscale (la differenza tra costo del lavoro per l’impresa e retribuzione netta per il dipendente) è risuonato negli incontri di ieri alla Camera: si era già mosso in questo senso l’esecutivo dimissionario in particolare a beneficio dei lavoratori con reddito annuale fino a 40 mila euro, ora potrebbe essere la volta della fascia successiva ed anche delle imprese, con la rimodulazione degli oneri e con forme di incentivazione alle assunzioni.
Quanto alla progressività, quella che ha in mente Draghi non va intesa necessariamente come inasprimento dell’aliquota massima ma rimanda piuttosto all’inclusione nell’Irpef, pur se con qualche distinguo, di alcuni redditi tassati a parte (quelli da capitale ad esempio). L’attuale sistema di aliquote e scaglioni potrebbe essere semplificato o sostituito da un meccanismo graduale come quello tedesco: ma al di là dei meccanismi tecnici dovrà risultare meno disincentivante nei confronti del lavoro. Nessuna flat tax in ogni caso, mentre appare ineludibile la revisione dell’attuale coacervo di agevolazioni. E pur se in un contesto di contrarietà ai condoni, dovrà essere affrontato il nodo dello smaltimento della mole di cartelle e avvisi.
Sulla lotta all’evasione l’ex presidente della Bce si è sempre espresso in maniera estremamente dura, vedendo in questo fenomeno da una parte una forma di distorsione della concorrenza a vantaggio delle imprese meno corrette, dall’altra un’ingiustizia sociale per il drenaggio di risorse da dedicare invece in prima battuta al sostegno dei cittadini maggiormente in difficoltà. Resta da vedere in che misura il prossimo governo vorrà aggiustare il tiro su una strategia che oggi si basa sugli incentivi ai pagamenti digitali e sul rafforzamento delle tecnologie che favoriscono l’adesione dei contribuenti ma anche le verifiche dell’amministrazione. Certamente in passato Draghi ha sostenuto la necessità di rendere evidente agli occhi dei contribuenti il collegamento tra i risultati della lotta all’evasione e la riduzione generale del prelievo.
mario draghi nel 2002 TASSE mario draghi janet yellen