Estratto dell’articolo di Francesco Spini per “la Stampa”
L'iter è ancora lungo ma l'impianto del disegno di legge Capitali appare formato: dopo l'approvazione degli emendamenti terminata ieri alla Commissione Finanze del Senato, martedì prossimo - dopo che ieri sera è arrivato il parere della commissione Affari Costituzionali – è atteso il voto sulla delega ai relatori. L'approdo in Aula è previsto per fine mese, poi arriverà alla Camera, ma ormai "blindato".
Quindi il governo avrà 12 mesi per riformare anche il Testo unico della finanza, ma nelle materie non toccate dal ddl. Che, se non cambierà strada facendo, porterà ricadute importanti sulle grandi società quotate a Piazza Affari.
giovanbattista fazzolari giorgia meloni al senato
L'articolato è vario, ieri sono stato approvato alcune proposte riformulate martedì: tra queste il voto maggiorato (solo una facoltà per le società) che in 10 anni possono raggiungere al massimo 10 voti per azione. Un modo per frenare la fuga all'estero dei grandi gruppi, dall'ultimo Brembo. Il passaggio però più gravido di conseguenze è anche quello che, nel testo originale del Mef, non c'era. Ed è quello che istituisce nuove norme che andranno a regolare la lista proposta dal consiglio di amministrazione uscente per rinnovare il cda. Vediamole.
La lista dovrà essere proposta col voto favorevole di due terzi dei consiglieri (unico caso di maggioranza qualificata nella votazione dei cda, a parte il diritto di veto delle minoranze sulle questioni relative alle parti correlate), deve contenere un numero di candidati pari al numero da eleggere maggiorato di un terzo. Le minoranze ne escono rafforzate sebbene in maniera meno radicale delle prime versioni (dove anche il M5S aveva presentato emendamenti assai incisivi): non avranno il 49% delle seggiole, ma in numero proporzionale ai voti.
La norma, se approvata, avrà effetto a partire dalle assemblee del 2025. Il primo vero banco di prova sarà dunque alle Generali, dove l'ad Philippe Donnet un anno fa è stato riconfermato per tre anni dopo un aspro scontro tra la lista del cda e quella presentata da Francesco Gaetano Caltagirone. Ha vinto il cda con il 55,99% dei voti, contro il 41,72% andato alla lista sfidante. Che oggi in consiglio esprime così 3 consiglieri su 13. Con la nuova legge il numero salirebbe a 5.
Le nuove norme, sulla carta, potrebbero sconsigliare Mediobanca, che consolida a bilancio il Leone in virtù dell'influenza notevole che esercita sulla compagnia, dall 'appoggiare come ha fatto l'anno passato la lista del consiglio. Per mantenere tale influenza, infatti, oltre ad avere almeno il 10% del capitale (oggi ha il 13, 13%) deve esprimere un proprio dirigente in consiglio, oggi Clemente Rebecchini. Siccome il ddl prevede che i candidati, una volta che la lista ha preso la maggioranza, siano votati uno per uno e risultino eletti quelli che prendono più voti, l'elezione del candidato di Piazzetta Cuccia sarebbe probabile, ma non più certa.
Altra società sensibile alla norma è Tim dove l'attuale consiglio è composto dai candidati presentati dal cda precedente. I francesi di Vivendi, con il 23,75%, senza un accordo col cda, avranno molto più peso. Se ne parlerà più avanti perché il cda si rinnoverà l'anno venturo con le regole attuali. [...]
BOLLORE' VIVENDI vincent bollore