Francesco Borgonovo per “La Verità”
L’aumento della popolazione islamica in Italia e in Europa è un ottimo affare. I fedeli musulmani rappresentano un mercato invitante: è in costante crescita, infatti, il business legato ai prodotti halal, cioè quelli che sono «leciti» in base alle prescrizioni della legge coranica (la sharia).
All'argomento ha dedicato un ampio saggio Elena Toselli, ricercatrice e autrice di Le diversità convergenti (Franco Angeli). Il termine halal, spiega, «indica la conformità ai precetti religiosi», mentre la parola haram è riferita alla «condizione opposta e, per convenzione, nel linguaggio comune tutto ciò che non è halal è haram e viceversa.
Al di fuori della comunità islamica», continua la Toselli, «il termine halal è essenzialmente associato all' alimentazione, ma la valutazione della conformità di una azione o di prodotto alla sharia abbraccia tutti gli aspetti e le manifestazioni della vita. Si parla di halal con riferimento, ad esempio, ai beni di consumo, ai servizi, ai prodotti cosmetici, all'offerta turistica e alla ristorazione, alle prestazioni sanitarie e medicali, all'attività bancaria, finanziaria e assicurativa».
Insomma, il mercato halal comprende un'ampia gamma di settori, tutti in espansione.
All'ultima edizione della fiera alimentare Tuttofood, per dire, era presente un padiglione dedicato all' halal. Quanto alla finanza, da qualche anno a Torino si tiene un forum specializzato con partecipanti provenienti da mezzo mondo. Sempre a Torino, durante la Fashion week 2017, è stata organizzata (per la prima volta in Italia) una serie di eventi direttamente legati alla moda islamica, la cosiddetta modest fashion.
Risale al 6 ottobre, invece, la presentazione del progetto Roma Muslim Friendly, realizzato dal Comune assieme alla Cna. Si tratta di una sorta di corso di formazione per gli operatori turistici intenzionati a ricevere una clientela musulmana. «Il progetto si rivolge a strutture alberghiere del Comune di Roma a 4 o 5 stelle, ristoranti, spa e centri estetici, servizi alla persona (tour operator, agenzie di viaggio, guide, baby sitting, personal shopper, vigilanza o security, auto con conducente, eccetera), botteghe artigiane e negozi», si legge nel comunicato di presentazione.
Restando nell' ambito turistico, da qualche tempo è attiva anche nel nostro Paese la piattaforma Halalando.com, che - come spiega il sito Finanzaislamica.it - «raccoglie già quasi 500 attività che, in varia misura, si sono adeguate alle preferenze del mercato dei musulmani nostrani e dei turisti in visita nel Belpaese».
Particolarmente interessante e redditizio, infine, è il settore della cosmesi, a cui ha dedicato un ampio servizio anche l' edizione italiana di Vanity Fair, che scrive: «Le consumatrici musulmane crescono, insieme alle blogger (le più esperte nel make up) e al mercato dei prodotti halal, cioè conformi alla loro religione». Racconta il settimanale che «il mercato è talmente cresciuto da essersi meritato uno spazio tutto suo alla scorsa edizione di Cosmoprof Worldwide Bologna (con il progetto "Halal Cosmetics: from production to sales")».
Ma quanto vale il mercato halal? In proposito esistono varie stime. «A livello globale», dice Elena Toselli, «si parla di circa 2.000 miliardi di dollari, per lo più nell' agroalimentare.
Per quanto riguarda l' Italia, le stime vanno dai 3 ai 5 miliardi di dollari, e si tratta principalmente di consumi interni».
Hamid Roberto Distefano, amministratore delegato di Halal Italia, è molto soddisfatto quando scrive che quello dei prodotti «leciti» non è affatto «un settore di nicchia». «Circa il 25% della popolazione mondiale fa riferimento alla religione islamica e alimenta un mercato di circa 2.300 miliardi di dollari considerando insieme food, cosmesi, farmaceutica e turismo. Prendendo in esame il solo comparto agroalimentare i dati ci parlano di un valore stimato di circa 700 miliardi di dollari con fattori di crescita costanti nell'ordine del 16% annuo».
Ed eccoci al punto. I prodotti halal, per essere venduti come tali, hanno bisogno di una certificazione, che deve essere rilasciata da un apposito ente. Nel nostro Paese ne esistono tanti. Il già citato Halal Italia, con sede a Vicenza, è promosso dalla Coreis (Comunità religiosa islamica italiana) e si fa forte di una convenzione interministeriale sottoscritta nel 2010, a cui hanno preso parte il ministero degli Esteri, quello dello Sviluppo economico, il ministero delle Politiche agricole e quello della Salute. Lo scopo, spiegano i vertici di Halal Italia, è quello di «costruire un ponte culturale tra l' Europa e il mondo islamico in vari settori produttivi, aiutando così a promuovere lo sviluppo armonioso del pluralismo nell' attuale società multiculturale e multiconfessionale».
A Verona ha la sede principale il Whad (World halal development), centro di certificazione halal presieduto da Annamaria Aisha Tiozzo, che alla Verità spiega: «Il mercato halal cresce a una media del 19% a livello mondiale, trainato dalle normative internazionali (alcune delle quali rendono di fatto la certificazione halal obbligatoria per l' export) e da una maggiore propensione, tutta recente, del consumatore musulmano al consumo fuori casa e ai piatti pronti».
Stando ai dati a sua disposizione, le aziende italiane che hanno ottenuto la certificazione dai vari organismi sono «circa 400, ma il numero è destinato a crescere». Alcune sono anche piuttosto note: la Vicenzi biscotti, la De Cecco (pasta), la Bustaffa (formaggi). Ottenere la certificazione non è semplice. A conferirla dev' essere un ente composto da musulmani (anche se la questione è controversa e frutto di tensioni fra i Paesi arabi) e i requisiti richiesti sono parecchi.
«L'azienda che desideri avvicinarsi a questo tipo di consumatori (principalmente perché esporta in Paesi a maggioranza islamica), invia una richiesta», dice Annamaria Tiozzo. «Noi analizziamo il settore di attività e se in linea generale l'azienda sia potenzialmente certificabile. Segue proposta di certificazione, visita in azienda per valutare tutte le fasi della produzione, una formazione sugli standard che saranno applicati. L'ente richiede la documentazione inerente materie prime e semilavorati e verifica l'assenza di materie prime ostative o ne suggerisce la sostituzione».
«Dopo il controllo documentale», prosegue la Tiozzo, «il comitato tecnico (composto da tecnici musulmani laureati nel settore specifico della azienda da certificare) invia un report al comitato religioso per ricevere pareri su materie prime o processi. Infine, su materie prime o prodotti finiti vengono effettuati random dei test di laboratorio. Dall' insieme di controllo documentale e fisico, approvazione religiosa e test di laboratorio scaturiscono i certificati halal».
Risale agli anni Novanta la nascita della Halal international authority, «un'autorità di certificazione internazionale, non governativa, indipendente riconosciuta a livello mondiale». Questa autorità «ha certificato oltre 500 aziende con oltre 10.000 prodotti, cioè l' 80% circa delle aziende e dei prodotti in possesso di certificati halal riconosciuti internazionalmente». A presiederla è l' ingegnere Sharif Lorenzini.
«L'Italia è ancora un nuovo player nel mercato halal globale», spiegano dall' Hia. «Sono state certificate circa 700 aziende di cui più del 30% in possesso di certificati non riconosciuti a livello internazionale e quindi con forti limitazioni per l' esportazione. L'Italia fattura tra i 7 e i 9 miliardi di euro all'anno. Tuttavia ha tutte le carte in regola per occupare i primi posti in classifica rispetto a altre nazioni europee, che oggi la precedono in termini di fatturato halal, come Germani, Francia, Inghilterra, Spagna, Olanda e Belgio che hanno oltre il 10% delle industrie alimentari, cosmetiche e farmaceutiche certificate halal e quindi moltiplicano il loro fatturato».
I vertici dell' Hia sono sicuri: «La fetta di mercato che l'Italia occupa è meno dell' 1%, ma è una percentuale destinata a crescere esponenzialmente, man mano che cresce la consapevolezza degli imprenditori italiani delle opportunità che il mercato halal offre». L'affare è ghiotto: urge ripasso della sharia.