Nuccio Ordine per il “Corriere della Sera”
Due recenti notizie, molto preoccupanti, hanno acceso i riflettori sulle università statunitensi e sulla deriva di un'istruzione fortemente condizionata dal business: l'ammissione della prestigiosa Columbia University di aver truccato alcuni dati per scalare le classifiche (Orsola Riva sul Corriere del 13 settembre) e la decisione della New York University di licenziare il grande studioso di chimica organica Maitland Jones perché i suoi esami sarebbero eccessivamente selettivi (Federico Rampini sul Corriere del 5 ottobre) rappresentano solo la punta di un pericoloso iceberg composto dalla commistione di educazione e profitto.
La Columbia University, infatti, è scivolata dal secondo al diciottesimo posto del ranking di Us News per aver fornito statistiche «inaccurate, discutibili e ingannevoli», mentre la New York University mette alla porta un prestigioso professore su petizione di 82 studenti, dei 350 frequentanti che avrebbero ricevuto brutti voti.
I due episodi, che potrebbero sembrare scollegati, rispondono invece alla stessa logica: la fraudolenta scalata di Columbia è funzionale al flusso di denaro che le classifiche garantiscono (attirare nuove matricole e sostanziosi fondi), mentre il licenziamento del docente di Nyu risponde (come ha detto Marc Walters, responsabile del reclutamento) all'esigenza di allungare «una mano gentile verso gli studenti e coloro che pagano le loro rette» (il cliente ha sempre ragione recita una delle regole più importanti del commercio!).
Due scelte che svelano come la stella polare degli atenei si fondi sempre più sulle leggi del profitto e del mercato. Le profetiche pagine di John Henry Newman (1801-1890) contro «educazione e istruzione "utili"» sono illuminanti: «la cultura generale della mente» viene prima dello «studio professionale e scientifico». Il business migliora gli atenei pubblici europei o finirà per corromperne la missione educativa e sociale?
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