Alex Soros per il ''Corriere della Sera''
I titoli di giornale sono spaventosi. La carenza di dispositivi vitali fa sì che i dottori debbano prendere decisioni da tempo di guerra su chi vivrà e chi no. Lunghe file di malati aspettano invano di poter fare un test o di trovare posto in ospedali che stanno rapidamente finendo i letti disponibili. Aziende, negozi, bar e ristoranti vuoti portano economie di comunità locali in tutto il mondo alla paralisi. E inizia la sinistra conta, per vedere quale sia il Paese colpito più duramente dal coronavirus, con gli Stati Uniti che adesso prendono la testa; a domenica sera avevano 50 mila casi più della Cina, che pure è stata il luogo di origine del contagio.
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In Europa la pandemia ha colpito in modo particolarmente duro in Italia, che resta in lockdown da settimane nel tentativo di rallentare la diffusione del virus. A ieri, l’Italia ha registrato più di 100 mila casi e finora più di diecimila persone, in gran parte in Lombardia, sono morte. Milano, il cuore della regione, è qualcosa di più della colonna portante dell’economia italiana. La città, fino a tempi recenti pulsante di vita, è legata inestricabilmente al progetto europeo ed è un motore decisivo dell’intera economia europea.
Eppure, mentre il numero dei morti aumentava e la regione viveva tassi di contagio più alti che in qualunque altra parte del continente, l’Unione europea e i suoi Stati membri sono stati lenti nel farsi avanti in maniera sostanziale e nel mostrare solidarietà verso il loro vicino sofferente. Al contrario, certi Paesi dell’Unione hanno chiuso i confini e si sono ripiegati su se stessi. I problemi dell’Italia sono stati esacerbati da quelle chiusure, che hanno tagliato forniture essenziali e dispositivi medicali.
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I governi europei si sono lasciati andare a liti meschine, dando l’impressione di preoccuparsi più che altro della propria convenienza economica. I rappresentanti di certi Paesi del Nord sono parsi criticare le decisioni di politica economica dell’Italia e curarsi più di come il Paese ripagherà i propri debiti che del numero dei morti o della recessione economica.
Il risultato che è che, mentre il continente e il mondo intero sono di fronte a una crisi economica e di salute pubblica di proporzioni storiche, l’Europa è una famiglia divisa, minacciata dalla dissoluzione territoriale. Se la Brexit aveva unito i restanti 27 Paesi e rimosso lo spettro della secessione dall’agenda europea, il coronavirus ce lo rimette. Il ritirarsi degli Stati Uniti dall’alleanza atlantica del dopoguerra sotto l’amministrazione attuale aveva dato all’Unione europea l’opportunità di dimostrarsi coerente con il proprio asserito impegno ai valori e ai diritti della cooperazione multilaterale e di imporsi come leader su scala globale.
Non è stata all’altezza della sfida. Ma anche se il futuro dell’Europa oggi sembra cupo, per le istituzioni e i governi europei non è troppo tardi per cambiare rotta. L’Unione europea non si può permettere di attraversare questa crisi senza una risposta significativa: in caso contrario tutti i Paesi e le economie della Ue ne soffriranno.
Mio padre, George Soros, ha vissuto l’esperienza di alcuni dei crimini più odiosi del secolo scorso e ne è emerso con la convinzione profonda e persistente che il progetto europeo è necessario. Sono orgoglioso della sua lunga storia personale di impegno attraverso le istituzioni filantropiche per promuovere un domani migliore in Europa e nel mondo.
Per questo motivo non sorprende che l’organizzazione fondata da mio padre, le Open Society Foundations, viene in aiuto dell’Italia in questo momento decisivo e impegna un milione di euro per la città di Milano, a sostegno del lavoro difficile di sostegno dei suoi abitanti più deboli e per aiutare a rilanciare l’economia, la salute e lo spirito positivo degli abitanti nei prossimi mesi.
Certamente alcuni Paesi europei — con un po’ di ritardo — hanno mandato forniture mediche e molti italiani hanno donato a favore dello sforzo nazionale di contrasto della crisi. E appena pochi giorni dopo aver avuto l’assenso a iniziare i negoziati per l’ingresso nella Ue, l’Albania ha dato una dimostrazione di vera solidarietà europea mandando un contingente di trenta medici per aiutare in Italia del Nord.
Spero che molti altri seguiranno questo esempio, offrendo un aiuto alle zone colpite più duramente da Covid-19. Arrivando subito dopo una simile donazione alla città di Budapest, questa è una tappa di una serie di interventi che Open Society Foundations lancerà nei prossimi giorni in risposta alla crisi.