Federico Fubini per “la Repubblica”
MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN
A Bruxelles circola in queste settimane una presentazione preparata alla Banca centrale europea. Il suo messaggio, espresso in grafici, è inconfondibile: la stretta al credito in Italia o altrove nel Sud Europa continua, ma non è per mancanza di liquidità. Una ragione di fondo sono le sofferenze, la montagna dei prestiti a rischio di insolvenza (o già in default) prodotti dalla recessione e ora arenati nei bilanci delle banche. Nasce di qui il progetto a cui Palazzo Chigi e il Tesoro stanno lavorando dopo mesi e anni di esitazioni, di questo e dei precedenti governi.
L’obiettivo è attaccare la montagna: rimuovere parte delle sofferenze, veri e propri ostacoli che paralizzano gli istituti e ostruiscono la circolazione di credito nei canali nel sistema finanziario. Il metodo individuato è farlo grazie agli acquisti di titoli sul mercato da parte della stessa Bce: quello che gli addetti ai lavori chiamano “quantitative easing”.
A settembre la Banca centrale guidata da Mario Draghi ha lanciato un programma di interventi su pacchetti di titoli privati (gli Abs, assetbacked securities) fino a 500 miliardi di euro. L’idea alla quale si lavora in Italia è far comprare alla Bce dei pacchetti di Abs che raccolgano parte dei crediti deteriorati delle banche italiane: prestiti alle imprese o mutui alle famiglie sui quali i debitori sono in ritardo o già in parte insolventi. Poiché si tratterebbe in gran parte di titoli di bassa qualità, la Bce verrebbe incoraggiata a comprarli grazie alla garanzia dello Stato italiano.
In altri termini la Bce verrebbe rimborsata dal Tesoro in caso di ulteriori perdite, dopo aver acquisito quei titoli già a sconto rispetto al valore originario dei prestiti. La proposta per liberare le banche di almeno 50 dei loro 180 miliardi di sofferenze è contenuta in un documento già inviato a Draghi e alla Banca d’Italia.
Su di essa Matteo Renzi lavora da settimane con il Tesoro e i suoi stessi consiglieri. In realtà l’idea di intervenire per ridurre i crediti deteriorati era già stata discussa in un incontro di quest’autunno fra lo stesso premier, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
Rimuovere le sofferenze delle banche con un’azione di governo è una priorità per la ripresa e, da anni, un tabù della politica. La Banca d’Italia ha pronto da tempo uno schema di “bad bank”, un veicolo finanziario sostenuto da garanzie pubbliche che riassorba dalle banche i crediti deteriorati. Per ora però non si è mai passati dagli studi alla pratica: sia il governo di Enrico Letta che l’attuale hanno a lungo esitato di fronte alla scelta, impopolare, di aiutare le banche con denaro dei contribuenti.
Alessandro Profumo Fabrizio Viola
La proposta a cui si lavora in queste settimane non nasce nel governo. La firmano Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, il banchiere ed ex ministro del Bilancio Rainer Masera, gli economisti della Cdp Edoardo Reviglio e Gino del Bufalo, l’ex direttore generale dell’Abi Giuseppe Zadra e Marcello Minenna della Consob. Il piano si basa sul fatto che i pacchetti di crediti deteriorati, raccolti in titoli Abs, generebbero ancora flussi di cassa dati dai pagamenti dei debitori.
I titoli verrebbero segmentati in parti a rischio più o meno alto, con una parte intermedia (“mezzanino”) coperta dalla garanzia pubblica. «Il rischio della tranche mezzanino è allineato al rischio di credito della Repubblica italiana — si legge nel documento Bassanini — e in questo modo potrebbe essere sottoscritto, insieme alla tranche di qualità più alta, dalla Bce».
Il tentativo è dunque di usare il quantitative easing della Bce per liberare le banche italiane della zavorra. Circa 50 miliardi di prestiti originari posso essere venduti all’Eurotower a 20 miliardi circa. Eventuali perdite ulteriori per circa il 40%, a causa dei default dei debitori, comporterebbero poi per il governo un indennizzo di 8 miliardi all’Eurotower.
Tecnicamente non appare fuori portata, ma restano vari scogli: nessun governo italiano ha mai osato usare denaro pubblico per le banche, anche se ciò ha poi aggravato il credit crunch e la recessione stessa. Se Renzi lo facesse, forse vorrebbe imporre il licenziamento dei manager che ricevono l’aiuto tramite la Bce. I manager dunque ultimi rischiano di non voler vendere nulla all’Eurotower, pur di conservare il loro posto a dispetto delle enormi sofferenze in bilancio che paralizzano la loro attività.
C’è poi un dubbio sul governo: l’Italia è a un solo gradino dal rating “spazzatura”. Se fosse ancora declassata, la Bce non potrebbe più accettare una garanzia così svilita. Più passano i mesi, più il tempo stesso lavora contro la soluzione del problema più urgente. Quello che quasi nessuno ha mai voluto affrontare.