1 - USA, FACEBOOK VINCE CAUSA FEDERALE: NON HA MONOPOLIO DEI SOCIAL NETWORK. SCONGIURATA LA DIVISIONE DI INSTAGRAM E WHATSAPP
Facebook ha vinto la battaglia legale contro le accuse di monopolio negli Stati Uniti. Un giudice federale ha infatti respinto le accuse contro la piattaforma social, formulate dalla Federal Trade Commission e di procuratori generali dello Stato di Washington per cercare di frenare i poteri di uno dei giganti del web. Il giudice distrettuale James Boasberg ha stabilito che le cause contro il social fossero “legalmente insufficienti” e non fornissero prove sufficienti per dimostrare che Facebook costituisse un monopolio del mondo social.
Con questa sentenza, Facebook scongiura la divisione di Instagram e Whatsapp, ma può al contrario restare compatto. Va sottolineato, però, che la sentenza respinge il reclamo in sé ma non il caso. Questo vuol dire che la commissione federale per il commercio potrebbe presentare un altro reclamo contro la piattaforma, dopo quello del dicembre 2020, quando il governo degli Stati Uniti e altri 48 tra stati e distretti accusarono Facebook di abusare del suo potere e schiacciare la concorrenza, soprattutto quella più piccola. Il giudice, ha infatti dato la possibilità alla commissione di depositare una nuova azione legale entro 30 giorni.
Il primo effetto della sentenza è stato un rialzo del titolo della creatura di Zuckerberg, entrato nel “club” delle società da un trilione di dollari di valutazione di mercato. Grazie al balzo di oltre il 4% di ieri Facebook si è portato per la prima volta il muro di mille miliardi di dollari di capitalizzazione. Facebook si aggiunge così alla ristretta élite delle società da oltre un trilione di market cap.
E’ infatti la quinta società di Wall Street a superare la soglia dopo Apple, Microsoft, Amazon e Alphabet. La settimana scorsa aveva fatto notizia il superamento dei 2.000 miliardi di dollari da parte di Microsoft, seconda a riuscirci dopo Apple. Facebook è divenuta pubblica nel maggio 2012 debuttando a poco più di 100 miliardi di dollari di capitalizzazione e in poco più di 9 anni ha decuplicato il suo valore.
mark zuckerberg mentre esplora con la realta' virtuale il mausoleo di augusto
2 - BIG TECH SOTTO ATTACCO DAI COLOSSI CINESI IL DILEMMA DELL'ANTITRUST AMERICANO
Mario Platero per “la Repubblica - Affari & Finanza”
Tutto nasce da un paradosso: "Il paradosso Antitrust di Amazon", breve saggio di Lina Kahn, nuova star per la concorrenza in America e nemesi dei colossi digitali. Lo scrisse quando aveva appena 28 anni e studiava per il dottorato in legge a Yale.
La Kahn, emigrata da Londra in America a 11 anni con i suoi genitori pakistani, apriva una strada per accusare di abuso di posizione dominante colossi come Amazon: gli aumenti dei prezzi per i consumatori non erano più la condizione principale per identificare abusi di posizione dominante.
Il paradosso è semplice: anche se Amazon tiene i prezzi bassi rinunciando a una quota di profitti, crea comunque una posizione dominante perché mette fuori mercato altre aziende e riesce a diversificare, come ha fatto ora, ormai in tutti i settori, dal credito alla produzione cinematografica ai supermercati.
Amazon insomma ha scelto il lungo termine per prevalere e continua in questa sua politica eliminando lungo la strada altri potenziali concorrenti, creando così un monopolio ancora più pericoloso per il sistema competitivo americano.
GOOGLE FACEBOOK SI DIVIDONO IL MONDO
Questa interpretazione allargata riflette il pensiero originario di cento anni fa del grande giurista Brandeis, il padre dell'Antitrust in America, secondo il quale occorreva avere un approccio più ampio del prezzo per il consumatore nel giudicare i pericoli impliciti in una concentrazione monopolistica.
La Kahn faceva parte di questa nuova corrente e quando andò a lavorare in una delle sottocommissioni Antitrust alla Camera, lo scorso ottobre, scrisse un rapporto che inchiodava come monopolisti pericolosi i grandi del digitale: «Amazon, Apple, Facebook e Alphabet (holding di Google), hanno un significativo potere di mercato consolidato nel tempo, che si traduce in minore innovazione, minori scelte per i consumatori e in un indebolimento della democrazia ».
Quando il Presidente Biden ha scelto a sorpresa questa giovane e brillante teorica prima come consigliera e poi addirittura alla guida della Federal Trade Commission (Ftc), lo ha fatto - si è detto - per darle un mandato preciso: i colossi digitali devono avere le ore contate. Sulla sua nomina non ci sono stati dubbi, è passata al Senato con una maggioranza schiacciante di 69 voti a 28.
Eppure il quadro è più complesso e non sarei tanto sicuro della tranquillità della Kahn nell'avviare la sua missione in modo così dirompente come credono tutti. Intanto le azioni della Kahn, se e quando partiranno, non sarebbero una novità. Ci sono almeno tre seri tentativi già in corso per contenere e possibilmente smantellare almeno tre dei cinque Big Tech su presupposti che guardano al di là del prezzo. Ma non sembra che le cose vadano bene. Anche perché le tesi del vecchio padre della concorrenza in America cento anni fa, il giudice Brandeis, dovrebbero essere rivalutate oggi nel contesto di una economia digitale globale, non soltanto su dinamiche interne.
Al di là dei prezzi per i consumatori, quanto è importante per l'America avere colossi in grado di competere con minacce concorrenziali come Tik Tok ad esempio, in arrivo dalla Cina, e prive di qualunque controllo da parte di Pechino?
Ha risposto Mark Zuckerberg: per gli Usa avere aziende di grande dimensione in grado di competere globalmente è essenziale. Infine, se i protagonisti sono quattro o cinque a competere su uno stesso mercato spesso in una lotta senza quartiere, non c'è forse una dinamica che poggia sulla concorrenza e non sul monopolio?
Di questo si discute. E la stessa Kahn si rende conto che tradurre dalla teoria alla pratica le sue idee non sarà così facile. Le cause già avviate, sulla base di principi simili a quelli invocati dalla Kahn, non hanno per ora dato risultati e appaiono deboli. Una di queste è proprio della sua Ftc contro Facebook e Zuckerberg: l'accusa è di aver approfittato di una posizione dominante per acquistare Instagram e WhatsApp. Peccato che Facebook avesse chiesto proprio alla Ftc il permesso per procedere e l'avesse allora ottenuto. Difficile per un giudice fare una marcia indietro retroattiva di questo genere.
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Tanto più che sia Instagram che WhatsApp sono poi cresciute enormemente nel nuovo contesto Facebook. Un'altra causa risale al 20 ottobre scorso, partita dal dipartimento per la Giustizia, ancora sotto Trump. Google, che controlla fra gli altri YouTube, avrebbe sottoscritto accordi illegali con Apple per proteggere il suo monopolio di fatto sui motori di ricerca.
Uno dei passaggi chiave di quel documento, 64 pagine con dettagli di ogni genere, recita: «Per troppi anni Google ha utilizzato tattiche anti competitive per mantenere e allargare il suo monopolio nei mercati per i servizi di ricerca generale, ricerca pubblicitaria, ricerca di testi pubblicitari». Come? Facendo sì che sui telefonini e su altri mezzi di comunicazione venduti da Apple, il motore di ricerca che appare sullo schermo in modo automatico sia Google.
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Questo si traduce in un dato incontrovertibile e preoccupante secondo il Dipartimento per la Giustizia: Google con il suo motore di ricerca - e con le sue tattiche - mantiene una posizione dominante con un controllo di circa l'80% del mercato.
Basta? Non necessariamente, perché il consumatore è libero di cambiare e scegliere in automatico un altro motore di ricerca. Un altro aspetto non secondario è che gli altri motori di ricerca trovano a loro volta il modo per sostituirsi a Google nella "home page" e che spesso il consumatore torna su Google per scelta, per il semplice fatto che per ricerche generaliste il suo motore resta il più accurato e più rapido nella risposta. Alla procedura aperta dal Dipartimento per la Giustizia si sono uniti 11 Stati attraverso procuratori generali di nomina repubblicana.
Tutti condividono la sensazione di pericolo per l'eccesso di potere da parte di Google: «Due decenni fa Google è diventata la beniamina di Silicon Valley come una start up in possesso di una tecnologia di ricerca innovativa su Internet. Quell'azienda è sparita ed è oggi il passaggio obbligato monopolistico per le ricerche su Internet». Possibile che questo rappresenti una minaccia reale per Google? Che gli avvertimenti ripresi da tutti i giornali del mondo sull'arrivo della Kahn abbiano intimorito il mercato? Quando partì la causa del Dipartimento per la Giustizia, Google capitalizzava 1.040 miliardi di dollari, oggi circa 1.600 miliardi. Non proprio un segnale di timore per un capolinea vicino.
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