Giuliano Balestreri per “La Stampa”
Sarà una privatizzazione a metà quella che si definirà per Ita Airways a inizio gennaio. Non sarà un successo per le casse dello Stato che dall'uscita dal capitale non incasseranno nulla (almeno in un primo momento); non sarà una vittoria per i tedeschi di Lufthansa che da un anno ripetono che sarebbero stati della partita solo in cambio di una quota di maggioranza e in una vera privatizzazione.
Dopo infiniti giri di valzer, il governo ha deciso che la compagnia andrà ai tedeschi che entreranno nel capitale con una quota del 40-49% attraverso un aumento di capitale; in cambio «i patti parasociali tra il ministero dell'Economia e l'acquirente di Ita dovranno prevedere che il ministero, fino alla eventuale definitiva uscita dal capitale, abbia diritti di governance tali da assicurare un adeguato presidio sulle decisioni di rilievo per il perseguimento degli obiettivi di potenziamento e sviluppo industriale di Ita».
È quanto si legge nel Dpcm che rinnova la procedura per le dismissione della partecipazione del Mef in Ita, a differenza della norma originale, questa consentendo anche maggiore flessibilità: in una prima fase, infatti, non si richiede più di cedere una quota di maggioranza del capitale. Di più: per la prima volta viene sottolineato che il prezzo per l'acquisto dovrà ora tener conto del valore del patrimonio netto della società, circa 500 milioni di euro.
Una proposta che ricalca in larga parte quella presentata dal fondo americano Certares alla fine della scorsa estate: la compagnia, però, veniva valuta circa un miliardo di euro, e al governo era garantita la scelta del presidente; il gradimento dell'amministratore delegato al momento della nomina e il diritto di veto su tutte le questioni di "interesse nazionale".
Oggi, Ita Airways vale poco meno di 500 milioni euro, motivo per cui una fonte finanziaria con malizia sottolinea che «un Dpcm così vago era l'unico modo per convincere i tedeschi a investire su un asset che non volevano più comprare». Una fonte vicina alla trattativa, invece, spiega che in «questo modo non si cedono quote di capitale, ma attraverso un aumento di capitale riservato si garantisce alla società la liquidità necessaria a crescere e investire». La stessa fonte, poi, osserva che «alla base dell'investimento c'è un piano industriale condiviso, che deve aiutare la crescita dell'ex Alitalia».
Uno schema che replica quello messo in atto dai tedeschi al momento dell'investimento in Brussels Airlines: nel 2009 Lufthansa comprò una quota del 45% con un'opzione per acquisire il restante 55% dal 2011 in poi. L'acquisizione della quota rimanente avvenne nel 2016.
Nella corsa a Ita, Lufthansa è rimasta da sola dopo che Msc ha deciso a sorpresa di uscire dalla partita. Il colosso dello shipping aveva presentato in tandem con il vettore tedesco un'offerta, ma il governo Draghi aveva preferito andare in trattativa esclusiva col fondo Certares proprio per le maggiori garanzie in termini di governance.
Il governo Meloni, invece, ha fermato la trattativa con gli americani indicando la propria preferenza per un partner industriale. Nei giorni scorsi il numero uno di Lufthansa, Carsten Spohr, ha ribadito che l'acquisizione di Ita «aprirebbe non solo a Lufthansa, ma anche a Ita e all'Italia nuove prospettive nel trasporto aereo».
Intanto, ieri, l'amministratore delegato di Ita, Fabio Lazzerini ha annunciato che «per la prima volta, negli ultimi venti anni nel budget della compagnia di bandiera italiana, i ricavi superano i costi» perché c'è stata «molta attenzione ai costi». Ad esempio, «l'aumento di carburante, del 107%, ha impattato solo per il 55/60% dei conti, il resto è stato compensato da maggiori ricavi e dal risparmio dei costi. Siamo una start-up nata nell'ottobre 2021, poco dopo c'è stato Omicron, poi guerra, poi il caro carburante. Eppure, nonostante questo, la compagnia sta avendo performance decisamente superiori alle aspettative».
ita airways 6 Fabio Lazzerini CARSTEN SPOHR - CEO LUFTHANSA ita airways 8