Estratto dell’articolo di Alberto Quarati per “La Stampa”
L’obiettivo dovrebbe essere quello di aprire la partita una volta che saranno nominati i presidenti delle Autorità di sistema portuale, cioè gli enti che gestiscono le banchine italiane, oggi in buona parte commissariati (da Genova a Trieste, passando per Bari e lo Stretto di Messina) o con presidenti in scadenza (è il caso della Spezia).
Dopo, i tempi dovrebbero essere maturi per avviare il cantiere della riforma portuale, annunciata due anni fa dal viceministro Edoardo Rixi (l’uomo che ha in mano molti dossier al ministero dei Trasporti) e poi nei fatti rimasta a languire […]
porti economia marittina - la stampa
[…] ora è il momento di una non facile sintesi, che dovrà essere messa nero su bianco con una delega al governo, da mesi in attesa di un treno normativo per essere scritta. In queste ore si era parlato della prossima legge di Bilancio, ma fonti del Mef smentiscono questa ipotesi.
Secondo Srm, il centro studi collegato a Intesa Sanpaolo, il valore economico generato dai porti è di otto miliardi. L’idea nel governo e del ministero dei Trasporti in particolare non è limitarsi a un maquillage dell’attuale legge portuale, ma incidere con un lavoro in grado di resistere nel tempo.
Pietra angolare di questa riforma è un super-ente «di un coordinamento nazionale, con una visione di sistema – ha detto Rixi in un recente Forum organizzato dal gruppo Gedi -. Altrimenti ci ritroveremo con altre banchine e infrastrutture inutili. Il soggetto centrale che abbiamo in mente - ha aggiunto - dovrà essere in grado di coordinare la portualità e anche acquisire infrastrutture all’estero».
L’obiettivo è evitare internamente gli errori di pianificazione del passato (per esempio: l’Italia ha costruito tre mega-porti di trasbordo, ne è sopravvissuto uno, il primo che era stato fatto, cioè Gioia Tauro) ed esternamente creare un soggetto in grado di trattare con i mega-gruppi internazionali che oggi gestiscono tanta parte dello shipping, e soprattutto fare investimenti all’estero, con partecipazioni strategiche in altre società di gestione portuale.
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Le proposte sul tavolo vanno da un rafforzamento dell’attuale Conferenza dei presidenti delle Autorità portuali al ministero (che però non è mai decollata) a una vera e propria holding pubblica. Il modello cui Rixi guarda con maggiore interesse è quello dell’Enav, società del governo con oltre il 53%, ma quotata in Borsa con un ampio flottante e un 10% di soci istituzionali, non solo italiani. Che gestisce il traffico aereo, ma ha anche consulenze e clienti all’estero.
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Più praticabile l’idea di una società pubblica nella quale possano partecipare anche gli enti locali, con un’apertura a soggetti privati che comunque rimarrebbero in minoranza. Esempi in giro per il mondo ce ne sono: Psa, che è la più grande società terminalistica al mondo, e che controlla il più importante terminal di import-export in Italia, non è altro che l’acronimo di Port of Singapore Authority, società controllata dalla Temasek (che è la holding degli investimenti della Città-Stato asiatica). [...]
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