Giovanni Pons per “la Repubblica”
Sarà una disfida tra assicuratori e rugbisti ma anche tra Italia e Francia. Il derby tutto interno alle Generali che si sta profilando in vista della prossima assemblea ha un qualche cosa di unico e forse di un po’ anomalo, come d’altronde è spesso accaduto in quel di Trieste.
Il numero tre della lista di successione interna, Luciano Cirinà, triestino Doc e con le polizze Generali che scorrono nel sangue, con un colpo a sorpresa si candida alla guida dell’azienda tradendo il suo capo francese e, anzi, sfidandolo apertamente a duello nell’assemblea più calda mai vista sinora nella città giuliana. C’è materia per gli sceneggiatori che potrebbero inquadrare Trieste non solo come storico ponte di collegamento con l’Austria e l’Est Europa, ma anche spartiacque decisivo nella battaglia per il controllo dei gangli finanziari del paese.
Vent’anni fa, sempre a Trieste, si parlava ancora di finanza laica, impersonificata dalla Mediobanca di Enrico Cuccia, e finanza cattolica il cui esponente di spicco è sempre stato Giovanni Bazoli. Ma nella realtà di oggi queste categorie appaiono superate anche se la corsa per diventare il power broker nazionale è forse più cruenta di un tempo.
Al momento l’unico punto in comune tra i contendenti sembra essere la passione per il rugby, racconta chi li conosce entrambi, per il resto è guerra aperta. Philippe Donnet, amministratore delegato da sei anni e che ha fatto ricchi tutti gli azionisti a suon di dividendi, calato in Italia quando Vincent Bolloré era ancora in auge e Mario Greco risanatore a Trieste, sembra che non si aspettasse il colpo arrivato dal basso.
È vero che Cirinà (alla guida delle attività in Austria e nella Cee) è tra i tre manager, insieme a Marco Sesana (capo del business in Italia) e Jean-Laurent-Granier (il numero uno per la Francia), presenti nella tabella di successione della compagnia, cioè tra coloro che hanno le competenze e le carte in regola per poter guidare in futuro l’azienda.
Vent’anni fa, sempre a Trieste, si parlava ancora di finanza laica, impersonificata dalla Mediobanca di Enrico Cuccia, e finanza cattolica il cui esponente di spicco è sempre stato Giovanni Bazoli. Ma nella realtà di oggi queste categorie appaiono superate anche se la corsa per diventare il power broker nazionale è forse più cruenta di un tempo.
francesco gaetano caltagirone philippe donnet
Al momento l’unico punto in comune tra i contendenti sembra essere la passione per il rugby, racconta chi li conosce entrambi, per il resto è guerra aperta. Philippe Donnet, amministratore delegato da sei anni e che ha fatto ricchi tutti gli azionisti a suon di dividendi, calato in Italia quando Vincent Bolloré era ancora in auge e Mario Greco risanatore a Trieste, sembra che non si aspettasse il colpo arrivato dal basso.
È vero che Cirinà (alla guida delle attività in Austria e nella Cee) è tra i tre manager, insieme a Marco Sesana (capo del business in Italia) e Jean-Laurent-Granier (il numero uno per la Francia), presenti nella tabella di successione della compagnia, cioè tra coloro che hanno le competenze e le carte in regola per poter guidare in futuro l’azienda.
Donnet Caltagirone Del Vecchio
Ma lo sgarbo interno non è facile da digerire, visto che Cirinà da settimane flirta con il nemico sedendo sulla sedia di casa. E con il sospetto che non sia un fatto isolato, cioé che Cirinà sia l’espressione di un orgoglio manageriale triestino che ha deciso di giocare le sue carte nel futuro della compagnia.
Chissà se l’abile Francesco Gaetano Caltagirone, nella stanza dei bottoni del Leone da oltre un decennio, avendo osservato da vicino ribaltoni clamorosi come quello di Cesare Geronzi e di Giovanni Perissinotto, avendo investito nella compagnia più di 2,5 miliardi di soldi propri, abbia colto al balzo la possibilità di far leva sulle ambizioni di un manager con lo scudo Generali cucito sul petto pur di prevalere sul nemico Alberto Nagel.
Il quale, però, ha dalla sua l’aver saputo navigare con successo nelle acque perigliose del dopo Cuccia e Maranghi, cambiando pelle a quello che una volta era definito il salotto buono della finanza italiana, portandosi con sé il mercato, cioè gli investitori istituzionali che oggi pesano tanto e tra i quali gode di ampia fiducia.
Agli osservatori più attenti, non è sfuggito il fatto che sia Donnet che Cirinà siano cresciuti sotto l’ala di Mario Greco, l’assicuratore tutto d’un pezzo chiamato da Nagel e Lorenzo Pellicioli a sostenere il Leone in un momento di chiara difficoltà, ma poi esautorato dopo un solo mandato. Nei suoi primi mesi a Trieste Greco risolse la difficile partita con l’imprenditore ceco Petr Kellner, nelle cui società Perissinotto aveva riversato tutte le attività Generali nell’Est Europa.
Vendendo le partecipazioni finanziarie inutili a partire da Telecom, quelle in tutti i patti di sindacato, e comprando tutte le attività della Ppf di Kellner affidandone la gestione proprio a Cirinà, che fino a quel momento aveva guidato solo l’Austria. Ora i mercati dell’Est sono quelli dove Generali sviluppa il maggior tasso di crescita mentre Donnet, dopo essere stato chiamato da Greco a guidare le attività italiane nel 2014, dal 2016 gli è succeduto come primo della lista.
E da lunedì Cirinà, senza lasciare il suo posto attuale, andrà a spiegare agli investitori come si può gestire una compagnia come Generali meglio del suo capo. Avendo contribuito, nei mesi scorsi, a preparare il piano industriale con cui Donnet si è ricandidato a guidare il Leone