Fabrizio Massaro per il “Corriere della Sera”
Non si placa l’ondata di vendite sul Montepaschi. Il tema delle svalutazioni e dell’aumento di capitale continua a pesare sul titolo. Ieri l’ennesima giornata di passione, con l’azione scesa anche oltre il 7% toccando i nuovi minimi storici a 0,42 euro. Alla fine la chiusura è stata 0,434 euro (-5,6%), ma comunque pesante: in due sedute, dopo la cancellazione del divieto di operare allo scoperto (dunque di scommettere al ribasso), la perdita è di circa il 12%. Il divieto era stato decretato dalla Consob il 27 ottobre per cercare di arginare la forte volatilità del titolo dopo la bocciatura di Mps e Carige agli stress test della Bce ed era stato prorogato l’11 novembre.
Il mercato si attende svalutazioni pesanti dei crediti, secondo la risultante dell’asset quality review, e un incremento del capitale fresco che sarà chiesto al mercato, attualmente fissato a 2,5 miliardi. In attesa che il consiglio della Bce approvi il piano proposto dal management di Mps, il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola non svelano le carte. Ma le stime degli analisti sono pesanti. Ieri Hsbc ha tagliato il prezzo obiettivo di Mps a 0,42 euro dal precedente 0,56 (rating «underweight»). Gli analisti del colosso anglo-asiatico stimano svalutazioni per 3,8 miliardi nel quarto trimestre per assorbire tutti i rilievi della Vigilanza Bce, con una stima di perdite per l’intero 2014 pari a 3,2 miliardi di euro.
ALESSANDRO PROFUMO E FABRIZIO VIOLA
Ci sono poi i dubbi sulla copertura dell’aumento di capitale, garantito da un consorzio capitanato da Ubs, Mediobanca, Goldman Sachs e Citi. I maggiori soci, cioè Fondazione Mps con il 2,5%, e i fondi esteri entrati (a carissimo prezzo) ormai quasi un anno fa — il messicano Fintech con il 4,5% e il brasiliano Btg Pactual con il 2% — sono sì raccolti in un patto parasociale ma non appaiono compatti e non è detto che abbiano ancora intenzione di sottoscrivere un secondo aumento — dopo quello monstre da 5 miliardi della scorsa estate — senza prospettive chiare.
GIUSEPPE MUSSARI ANTONIO VIGNI
Per questo le prossime settimane saranno decisive. Sono tanti i fronti aperti: dalla bad bank di sistema, che potrebbe aiutare in maniera rilevante il Monte, al risiko bancario che vedrebbe Mps possibile preda di Ubi o di un gruppo estero, specialmente se passerà l’obbligo di trasformare le banche popolari maggiori in spa. Senza considerare che i vertici sono in scadenza e non c’è ancora chiarezza su un eventuale riconferma.
Intanto ieri sono state pubblicate le motivazioni della sentenza del tribunale di Siena che lo scorso 31 ottobre ha condannato a 3 anni e sei mesi ciascuno l’ex presidente Giuseppe Mussari, l’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex capo dell’area finanza Antonio Baldassarri, per ostacolo alla vigilanza per aver occultato alla Banca d’Italia il mandate agreement, contratto-quadro dell’operazione da 3,5 in derivati «Alexandria» con la banca giapponese Nomura.
GIANLUCA BALDASSARRI IN PROCURA A SIENA
Dovevano invece consegnarlo perché sui tre «grava un dovere di leale collaborazione», scrivono i giudici senesi. Per la corte presieduta da Leonardo Grassi il mandate agreement era «un documento essenziale» perché «recava in sé una indiscutibile valenza patrimoniale e finanziaria, potendo incidere sull’iscrizione iniziale a conto economico del fair value della componente Repo all’interno dell’operazione Btp 2034» e dunque avrebbe fatto emergere costi per 220 milioni.