Estratto dell’articolo di Francesco Spini per “la Stampa”
Avere meno di 35 anni nel 1985 in Italia voleva dire, in media, guadagnare circa il 20% in meno dei colleghi ultra 55enni. Sono bastati tre decenni per fare precipitare le cose: nel 2019 il divario è in sostanza raddoppiato e ora la differenza "generazionale" dei salari è di circa 40 punti percentuali.
La battaglia degli stipendi e delle carriere, in quel rebus che è diventato il mondo del lavoro, ha vincitori e vinti. Giovani di belle speranze che restano intrappolati in organizzazioni dove gli «anziani» occupano i posti migliori, fanno carriera e non lasciano seggiole libere: solo posti in piedi.
La fotografia è impietosa e complicata insieme. A scattarla è uno studio, tuttora in divenire dal titolo "Paesi per vecchi, analisi del divario salariale per età". Vi hanno lavorato e continuano a farlo due ricercatori: Nicola Bianchi, assistant professor alla Kellogg School of Management della Northwestern University nonché faculty research fellow al National Bureau of Economic Research (Nber) e Matteo Paradisi, assistant professor all'Istituto Einaudi per l'Economia e la Finanza (Eief).
[…] In un panorama in cui fabbriche e uffici sono invecchiati. Nel 1985 l'età media degli addetti era di 35,8 anni, nel 2019 (anno a cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili) era salita a 42,7 anni, il 19% in più.
Tante le cause: dalle culle vuote (18,1 nascite ogni mille persone nel 1960, 7,3 nel 2018), alla speranza di vita più lunga (da 69,1 a 83,3 anni), fino all'età pensionabile allungata: quanto basta per far cambiare forma alla piramide demografica nelle aziende. E ora la parte ormai maggioritaria dei lavoratori (quella dai 45 anni in più) si mangia la fetta di torta più generosa. […]
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