Estratto dell’articolo di Andrea Greco per “la Repubblica – Affari & Finanza”
Il primo sciopero nella storia bicentenaria della Borsa italiana va letto come un conio a due facce. La più vistosa è quella “politica”, che ammanta di nazionalismo il dossier, e si preparava dall’ottobre 2020 – quando la City di Londra cedette per 4,3 miliardi Piazza Affari alla francese Euronext – e ora si consuma.
I rapporti di cuginanza dei due Paesi fra le Alpi, alterni nei secoli, sono sui minimi da quando Giorgia Meloni formò due anni fa il governo di destra. Ma le critiche del ministro per le imprese e il made in Italy Adolfo Urso erano agli atti dal 2020, quando l’esponente di FdI che guidava il Copasir convocò l’allora ministro dell’Economia – Roberto Gualtieri del Pd – il quale, dice oggi Urso a Sky, «non giustificò […] perché aveva preferito vendere Borsa italiana ai cugini francesi, a fronte di un’offerta più vantaggiosa sul piano industriale della Germania e di un’opzione svizzera che sembrava garantirne meglio la crescita».
La ricostruzione di Urso è soggettiva, almeno quanto la sua scelta di convocare il 18 giugno (a poche ore dalla nota dei tre sindacati Fabi, First Cisl e Fisac Cgil sulle due ore di sciopero del 27), le parti sociali. Come fosse una delle tante crisi industriali nostrane, anziché la legittima richiesta di considerazione degli addetti di un colosso in ottima forma, che nel 2023 ha visto salire i ricavi a 1,5 miliardi e gli utili a 584 milioni (+5,3%).
GLI AZIONISTI DI RIFERIMENTO DEL GRUPPO EURONEXT
Il conio ha però un’altra faccia, in ombra pur sonante. La incarnano i sindacati dei 700 lavoratori del gruppo Borsa Spa, e reclamano un nuovo protocollo di relazioni industriali all’altezza di una società che ha alcune eccellenze operative, oltre a essere strategica per il Paese.
È qui che le richieste sindacali e le istanze “protettive” del governo si cementano, dalla sicurezza dei dati gestiti al funzionamento di un’infrastruttura chiamata a far convergere più e meglio il primo risparmio privato d’Europa sulle Pmi quotate.
Farebbe ridere se il governo, appena varato il Ddl capitali e con la riforma in atto del Tuf ‘98, guardasse andare a rotoli le relazioni dentro Borsa Spa. E non è un caso che il ministro Giancarlo Giorgetti abbia inviato il suo vice Federico Freni ai tavoli della “vertenza”, che riguardano anche i vertici di Borsa e di Cdp.
Non va infatti scordato che la Cassa depositi, entrata nel capitale Euronext nel 2021 a chiusura dell’acquisizione, ne è il primo socio con il 7,82%, appaiata alla Caisse des Depots francese; e in asse con l’1,5% di Intesa Sanpaolo gli “italiani” sono il primo gruppo di soci per provenienza. Detto che i 700 “italiani” di Euronext sono gli unici ad avere un contratto bancario, e che per più fonti hanno compensi nella fascia alta del gruppo, i problemi come sempre nascono da rapporti e aspettative.
Proprio il ghiotto rinnovo dei bancari, con aumenti a regime di 435 euro al mese da novembre, è stato il casus belli. Le maggiori banche italiane, volendo riconoscere ai 300 mila bancari l’inflazione e a fronte della forte redditività del settore, non hanno assorbito nei superminimi gli aumenti, lasciati per intero ai lavoratori.
Non così ha fatto Borsa Spa, applicando una prassi storica, centrata sulla contrattazione di “ad personam” e singoli incentivi. Ne è venuto, in certi casi segnalati, un beneficio minimo o nullo dal nuovo contratto: non solo con assorbimento degli aumenti nel superminimo, ma anche con decurtazioni dei bonus incentivanti 2023. Un gesto ruvido, che un sindacalista chiama «frugare nelle tasche dei lavoratori minando il rapporto fiduciario con l’azienda».
A tal proposito, ed è il secondo nodo, il personale qualificato di Borsa è reduce da tre migrazioni tecnologiche: la prima traslocando tutti i dati del gruppo Euronext nel centro Aruba di Bergamo, dove l’azienda italiana li custodisce (con due soli addetti pare, perché l’amministrazione è in Portogallo); la seconda per spostare sulla piattaforma di trading interna Optiq l’operatività del “Millennium” di Lse; l’ultima, in corso, riguarda derivati e materie prime. Un grosso sforzo per gli addetti italiani, costretti a lavorare di notte e nei weekend per garantire la continuità degli scambi. Così gli orari sono lievitati: i sindacati citano per il 2023, 168 ore straordinarie medie per i dipendenti di Cassa compensazione e garanzia, 102 ore dentro Borsa italiana e 56 ore in Monte titoli.
Secondo le tre sigle le migrazioni hanno solo fatto deflagrare una pianta organica già inadeguata. Non bastano, per loro, i 100 assunti in Italia nel triennio rimarcate dall’ad Stéphane Boujnah […]. Il management, in privato, ha trovato spiacevole il fatto di ridurre alla querelle italo-francese le vicende di una public company quotata ad Amsterdam e che davvero si pensa europea […].
[…] Il governo, comunque, non può andare oltre la moral suasion. E il rimpianto, comune a molti operatori, per un finale che poteva essere diverso. Se solo, nel 2012, le grandi banche italiane non avessero svenduto le quote di controllo nella Borsa a Lse, per creare un attore protagonista del suo destino. Quella visione, che oggi è l’embrione del mercato unico europeo, l’hanno avuta i francesi. E costruita con la paziente fusione dei listini di Amsterdam, Bruxelles, Dublino, Lisbona, Oslo, infine Milano.