Il settore bancario finora era rimasto silente. In attesa, guardingo ma defilato. Adesso sta lentamente rialzando la testa e all’orizzonte scorge un film dell’orrore. E’ la riforma del famoso Testo Unico della Finanza (Tuf), un documento che determina il buon funzionamento della governance delle società, delle assemblee, del ruolo degli azionisti e di altre questioni fondamentale per i mercati nazionali e internazionali.
In particolare, questa riforma, contenuta originariamente nel famoso ddl capitali, mette a rischio tutte le società che nello statuto possono presentare le liste del cda, in particolare quelle che non hanno un socio di controllo come ad esempio Banco Bpm, Fineco, Prysmian e molte altre. Senza entrare nei tecnicismi, la riforma dà un potere senza precedenti alle liste di minoranza. Il rischio, dunque, è che si assista a un vero “sacco delle banche”, con buona pace degli investitori istituzionali.
Già qualche mese fa il Financial Times aveva lanciato l’allarme. Inascoltato. Adesso è Assogestioni, l’associazione che rappresenta i gestori di risparmio, che ha deciso di mandare al Ministero dell’Economia e delle Finanze una nota per sottolineare i rischi delle nuove norme che entreranno in vigore a gennaio ’25.
Il documento è durissimo, ma a quanto risulta a Sassate non tutti dentro Assogestioni erano d’accordo sull’invio. In particolare, c’è stato uno scontro fortissimo di Anima Sgr, colosso che amministra circa 190 miliardi di euro in Italia, contro tutti.
Anima, che ha una sua rappresentanza nel consiglio di Assogestioni e dominerà le discussioni dei gestori avendo due vice-coordinatori del comitato che si occupano delle liste di minoranza, dovrebbe tutelare proprio gli interessi degli investitori suoi clienti a cui serve un mercato stabile che attiri capitali.
Eppure non lo sta facendo, anzi sta cercando di frenare l’attività di denuncia dell’associazione stessa. Ma quel che sembra più paradossale è che gioca contro il suo maggiore azionista, Banco Bpm. L’istituto milanese, infatti, possiede oltre il 20% di Anima e ne determina circa il 40% dei ricavi.
Quando la riforma del testo della finanza entrerà in vigore Bpm si ritroverà con lo spettro di vedere i suoi azionisti di minoranza in grado di sovvertire la lista del consiglio e in particolare saranno i francesi di Credit Agricole a beneficiarne.
La domanda che si fanno in molti in queste ore è: come mai Anima è contraria alla posizione di Assogestioni e sfavorisce il suo maggior azionista? I maligni dicono che il suo Ceo, Alessandro Melzi d’Eril, voglia provare a mettere mano alla governance delle banche prendendo le redini di Assogestioni.
Del resto nel 2025 si rinnova il potentissimo board di Intesa, con relative nomine da parte del comitato dei gestori del presidente del comitato di controllo sulla gestione della più grande banca italiana. E nel 2026 toccherà al Banco Bpm rinnovare il board e anche alla stessa Anima (che potrà trattare con BPM la presentazione della lista con il Ceo, il Presidente e i loro relativi compensi), già nel 2020 e nel 2023 i gestori avrebbero potuto esprimere quasi la maggioranza del cda di Anima ma hanno fatto attente valutazioni e si sono limitati.
Screenshot 2024-07-23 alle 21.56.57AAlessandro Melzi d’Eril
Insomma, l’attivismo-contro di Anima non è passato inosservato agli esperti. Infine, sempre nel 2026, ci sarà il rinnovo di Fineco dove i gestori nominano tutto il collegio sindacale e ben due amministratori (Fineco che distribuisce fondi comuni…).
Fatto sta che del rischio di mettere nelle mani “dello straniero” le più importanti banche italiane al Mef adesso se ne sono accorti. Così lungo i corridoi di XX Settembre a qualcuno è venuto il dubbio che, forse, solo per le società finanziare e le banche, le nuove norme del ddl capitali non dovrebbero essere applicate.
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