Francesco Spini per “La Stampa”
Il braccio di ferro tra il cda di Tim e Kkr si fa più serrato e potrebbe sfociare in un veto americano sulla nascita della nuova società dedicata alla rete. Ricordate il fondo Usa che, il 21 novembre dell'anno scorso, fece scalpore presentando una manifestazione di interesse per una possibile Opa su tutta Tim a 50,5 centesimi per azione? Dal consiglio di amministrazione dell'ex monopolista delle telecomunicazioni italiane non è mai arrivata una risposta alla lettera degli americani e l'Opa è rimasta lettera morta. Ora il fondo, spazientito, appare pronto ad alzare la posta.
Come noto Kkr ha il 37,5% di FiberCop, la controllata in cui Tim ha separato la rete secondaria, quella che va dall'armadio stradale fino alle abitazioni e agli uffici dei clienti. Ecco: secondo autorevoli fonti finanziarie il fondo non avrebbe intenzione di far confluire FiberCop dentro NetCo, la società dedicata alla rete che dovrebbe nascere con il piano strategico allo studio dell'ad di Tim, Pietro Labriola, deciso a dividere il gruppo in due entità, una dedicata all'infrastruttura e un'altra ai servizi (ServiceCo).
Gli americani di Kkr sarebbero pronti a utilizzare diritti di voto potenziati - in sostanza un veto - che gli accordi intercorsi tra Tim (ai tempi guidata da Luigi Gubitosi) e il fondo hanno attribuito a Kkr che, in tal modo, può bloccare alcune operazioni. Tra esse una di quelle al centro del piano di Labriola che, in un secondo tempo, dovrebbe portare alla nascita della rete unica graze alla fusione di NetCo con Open Fiber. Tutto sotto il cappello della Cdp. Un'opzione, quella manifestata dal fondo, che, a quanto risulta, starebbe creando imbarazzi in ambienti di governo e tra parti dell'azionariato che vede i francesi di Vivendi al 23,75% del capitale e la Cassa depositi e prestiti secondo socio con il 9,81%.
Quello di Kkr, che non si accontenta dei messaggi trasversali su possibili accordi alternativi, appare per il momento come un modo per restare in gioco e, insieme, un brusco sollecito alla risposta mai ricevuta da parte del cda alla manifestazione di interesse per l'Opa che il fondo aveva subordinato a una due diligence di quattro settimane, un esame approfondito dei conti che, in casa Telecom, nessuno appare intenzionato a concedere. Finora la faccenda, in casa Tim - forti dell'appoggio al piano di Labriola tanto di Vivendi quanto di Cdp e governo - è stata rimandata di cda in cda.
L'ultimo accenno, almeno in via ufficiale, è stato fatto il 26 gennaio quando un comunicato ha informato come il comitato ad hoc, l'organismo guidato dal presidente Salvatore Rossi, sia al lavoro, si disse, «per analizzare la manifestazione e compararla anche con le prospettive del gruppo e con le alternative strategiche destinate ad esser considerate nel quadro del piano». Qualcosa si potrebbe dunque sbloccare il 2 marzo, quando il cda sarà chiamato a varare il piano di Labriola. Un piano che il veto di Kkr a una sua parte fondamentale potrebbe minare fin dalla nascita.
Nel frattempo Tim si muove sul fronte del cloud. La controllata Noovle ha annunciato l'alleanza con i principali provider nel progetto paneuropeo Lighthouse Structura-X, nato per definire requisiti comuni, basati su portabilità e interoperabilità, con l'obiettivo di offrire servizi cloud infrastrutturali certificati in linea con i principi di Gaia-X
pietro labriola PIETRO LABRIOLA