Giuliano Balestreri per “la Stampa”
«È inutile parlare di caso Italia, perché il mercato guarda sempre ai fondamentali. E finché il Paese non lavorerà su quelli, sarà sempre a rischio. Ovviamente non si può prevedere quando il rischio aumenti, ma sappiamo che cresce sempre nei momenti peggiori». Daniel Gros, l'economista tedesco che ha studiato alla Sapienza di Roma, ha completato il suo PhD a Chicago e dirige a Bruxelles il Center for European Policy Studies, analizza la situazione italiana senza nascondere le sue preoccupazioni e senza risparmiare critiche all'intera classe politica: dal premier Mario Draghi «che poteva fare di più» alla destra «che si definisce sovranista, ma poi chiede l'eterno sostegno della Bce».
L'Italia ha fondamentali meno solidi dei partner europei, ma la reazione dei mercati non è stata esagerata?
«I mercati sono molto più razionali di quanto si pensi: guardano ai fondamentali. A preoccupare gli investitori sono state le parole della Bce che finora non aveva fatto nulla pensando che l'inflazione sarebbe arrivata da sola all'1,9% tra due anni. Previsioni in base alle quali ha continuato la sua politica espansiva. Avrebbe dovuto intervenire tempo fa».
ARTICOLO DEL FINANCIAL TIMES SU MARIO DRAGHI E IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO
Quindi il cambio di atteggiamento è stato giusto.
«Finalmente la Bce ha rotto una diga, ma avrebbe dovuto accelerare di più. Avrei preferito lo stop al reinvestimento degli asset acquistati attraverso i piani App e Pepp arrivati a scadenza. Non averlo fatto è un controsenso».
Perché?
«Da un lato la Bce dice che lo stock di obbligazioni che ha in portafoglio produce un impatto importante sui tassi a lungo termine, ma dall'altro li aumenta a breve. Non ha senso aumentare i tassi a breve se li tengo compressi nel lungo periodo».
Se avesse accelerato così tanto, non saremmo entrati in una nuova crisi del debito sovrano?
«I fondamentali li conosciamo, a cambiare è la propensione al rischio. E quando tutti amano il rischio i fondamentali sembrano contare meno, ma poi tornano cruciali appena sale l'avversione al rischio. L'Italia deve lavorare su quello».
E non lo ha fatto?
«Quando?»
Con le riforme avviate dal governo.
«Le riforme sono tali quando sono implementate e per ora mi paiono solo avviate. E non vedo in che modo possano vincolare i futuri governi».
Sta dicendo che Mario Draghi ha inciso troppo poco?
«Poteva fare di più: il piano del governo prevede di spendere tutte le risorse messe a disposizione dall'Europa, più altri 30 miliardi di prestiti. Si potevano utilizzare meno risorse e pianificare meglio il deficit. Il problema, però, non è Mario Draghi o Mario Monti che sono eccellenti persone, ma le scelte della politica».
Cosa suggerisce?
«Di imitare il Portogallo. Lisbona ha detto che non si sarebbe mai fatta imporre l'austerity da nessuno e ha deciso di intervenire in autonomia. Ed è riuscita a ridurre il debito e il rischio Paese. Così se oggi lo spread sale, quello portoghese lo fa più lentamente. All'Italia basterebbe un paio d'anni».
Parlare di austerity a pochi mesi dalle elezioni non è facile, tanto più con la destra sul piede di guerra contro la Bce.
«La destra sovranista italiana mi sorprende molto: vuole un Paese forte che non dipenda da altri, ma sembra ignorare che prima di tutto serva la solidità finanziaria. Vogliono essere sovrani o vogliono l'aiuto della Bce? Non capisco».
Dalle sue parole sembra che l'Italia sia condannata.
«Lo temo. Per cambiare serve un diverso equilibrio politico. Servono riforme e attenzione al debito, ma chiunque provi ad aprire il mercato, viene osteggiato. L'Italia deve prendere atto che non può spendere più di quanto incassa. Ma si può fare molto, senza tagliare troppo, lavorando sull'efficienza: lo Stato offre servizi inferiori rispetto a quanto li paga. E su questo aspetto nessuno è mai riuscito a intervenire. Servirebbe un ministro delle finanze con sostegno in Parlamento e capace di guidare 100 mila uomini grigi che implementino le regole della Pa a tutti livelli. Ma serve grande consenso. E questo Draghi non è riuscito a costruirlo».
Con il crollo del potere d'acquisto come fa il governo a non intervenire?
«Bisogna accettare che il potere d'acquisto scenda, ma serve un compromesso tra le imprese, che se la sono cavata bene, e i lavoratori: le aziende devono condividere il costo della crisi con i dipendenti».