Estratto dell'articolo di Paul Krugman per “The New York Times” - pubblicato da “La Stampa”
Fin da quando i Sumeri idearono il credito, probabilmente ci sono sempre state persone che si arricchiscono con investimenti cattivi. Il trucco è investire usando il denaro altrui. Supponiamo, per esempio, che un faccendiere usi capitali presi in prestito per fare investimenti azzardati nei casinò del New Jersey. Alla fine, se gli investimenti producono utili, potrà intascarseli.
Se, invece, non andranno a buon fine, potrà semplicemente girare i tacchi – se è stato sufficientemente contorto nella formulazione dei prestiti che ha fatto o se riuscirà a persuadere i suoi creditori a non correre dietro agli altri suoi asset – e lasciare che altri siano tenuti a risponderne. In pratica, se è testa vince, se è croce i creditori perdono.
Potrebbe anche riuscire a intascare parte dei soldi presi in prestito, per esempio facendosi pagare ingenti somme di denaro dalle case da gioco o dalle aziende di sua proprietà per vari servizi prima che falliscano.
Come i lettori avranno già indovinato, forse il mio non è un esempio campato per aria. È la storia dell’impero di casinò di Donald Trump in New Jersey, attività che ha portato a molteplici bancarotte, disastrose per gli investitori esterni ma, a quel che sembra, alquanto redditizie per Trump. Per chi vuole giocare a questo gioco, il problema è persuadere i prestatori a starci. Perché mai qualcuno dovrebbe rischiare i suoi soldi per qualcosa di dubbio?
Beh, esistono vari modi per riuscirci. Uno, forse il più importante nel caso di questi casinò, è il puro potere della persuasione, sostenuto addirittura dal culto della personalità: convincere i creditori che queste iniziative discutibili sono in verità buoni investimenti oppure che sei un uomo d’affari eccezionale e che sei in grado di trasformare la paglia in oro.
Diversamente, puoi sempre cercare di convincere i finanziatori che sono al sicuro, offrendo loro garanzie collaterali che sembrano adeguate a proteggerli, ma in verità non lo sono, perché hai gonfiato il valore degli asset messi a disposizione e magari anche la tua ricchezza personale, per far sì che ti credano un brillante uomo d’affari e allo stesso tempo un debitore affidabile.
Ecco spiegato perché dichiarare il falso circa il valore degli asset di cui hai il controllo è illegale. Martedì il giudice Arthur F. Engoron ha deliberato a New York che Trump ha sistematicamente dichiarato il falso, sopravvalutando il suo patrimonio e aumentandolo, forse, addirittura di 2,2 miliardi di dollari.
Trump e i suoi legali hanno addotto, per come la interpreto io, tre linee di difesa contro queste accuse. Primo: sostengono che il valore delle proprietà immobiliari è, in certa qual misura, soggettivo. In effetti, se possiedi un edificio non puoi sapere con certezza quanto vale fino a quando non cerchi di venderlo. Se nel settore immobiliare esiste un margine di manovra, però, è esiguo.
Il giudice Engoron ha dichiarato che Trump si è spinto troppo in là, che ha creato un “mondo fantasioso” di valutazioni indifendibili. Per esempio, la Trump Organization ha valutato gli appartamenti locati come quelli che non lo sono. Il giudice si è annotato, in particolare, quanto dichiarato da Trump, ovvero che a New York abita in 2790 metri quadri, quando di fatto il suo appartamento è di 1022. I metri quadri non sono soggettivi.
Secondo, gli avvocati di Trump hanno sostenuto che le banche che gli hanno prestato soldi sono state completamente risarcite, quindi non c’è danno. Naturalmente, questo non vale per i creditori rimasti invischiati nelle precedenti bancarotte di Trump. […]
Infine, sui social Trump ha dichiarato di “essere stato privato dei diritti civili” e di aver preso denaro in prestito da “ingegnose banche di Wall Street” che, probabilmente, non si sarebbero lasciate imbrogliare con tanta facilità. Se conoscete almeno un po’ l’atteggiamento di Wall Street nei confronti di Trump, avrete già capito che questo è un vero spasso.
Per anni, un unico pezzo grosso di Wall Street, Deutsche Bank, è stato disposto a trattare con lui, sollevando per altro molta perplessità circa le intenzioni di questa banca. Alla fine, anche Deutsche Bank ha staccato la spina, adducendo preoccupazioni di natura finanziaria. Trump è riuscito a ripagare il suo debito, ma resta il mistero su come abbia fatto a trovare i soldi. Come ho appena spiegato, a ogni modo, essere fortunati non giustifica le frodi.
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All’epoca, nel 2016, alcuni osservatori misero in guardia gli analisti politici tradizionali dicendo loro che stavano sottovalutando le possibilità di Trump perché non tenevano conto di quanti americani credevano sul serio che lui fosse un brillante uomo d’affari – convinzione basata perlopiù sul ruolo da lui interpretato nel reality show televisivo “The Apprentice”.
Oggi sappiamo che, nel caso di Trump, la battuta è la pura e semplice verità: non era un vero genio degli affari. Si limitava a interpretarne uno in televisione. In effetti, questo era ovvio per chiunque volesse vedere come stavano le cose, fin dall’inizio dell’ascesa politica di Trump.
Mi piacerebbe poter immaginare che questa sentenza una buona volta spazzi via il personaggio pubblico Trump. In realtà, però, è probabile che i suoi sostenitori scrolleranno le spalle davanti a questa sentenza, in parte perché la considereranno il frutto di una cospirazione della sinistra, in parte perché ormai pochi di coloro che lo hanno appoggiato saranno disposti ad ammettere di essere stati raggirati da un ciarlatano. Di fatto, è proprio così. E che così tanti americani si siano lasciati abbindolare e continuino a esserlo dovrebbe portare a un serio esame di coscienza nazionale.
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