Diodato Pirone per “il Messaggero”
I colossi dell'auto tedesca, Vw, Daimler e Bmw, hanno chiesto alla cancelliera Angela Merkel di lavorare ad un pacchetto di interventi europei per uscire dalla crisi. In una teleconferenza che gli amministratori delegati delle tre case automobilistiche hanno sottolineato all'unisono che dal loro punto di vista ha un senso limitato aiutare le singole industrie nazionali europee.
Tutti e tre i manager hanno ribadito infatti un solo concetto: fino a quando le fabbriche italiane e spagnole di componentistica non riapriranno sarà praticamente impossibile assemblare in modo continuativo automobili made in Germany. In sostanza Vw, Daimler e Bmw hanno fatto presente alla Cancelliera che le loro catene di rifornimento (supply chain) sono ormai strutturalmente legate a fornitori esteri, in particolare italiani non solo cinesi. Dal punto di vista dell'industria dell'auto germanica, che è la spina dorsale dell'economia tedesca, è dunque fondamentale che la ripresa dell'economia e le misure anti-crisi vengano coordinate a livello dell'Unione Europea.
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IL NODO LIQUIDITÀ
E c'è di più. Secondo quanto riportato dall'agenzia Reuters e da AutonewsEurope.com, le case automobilistiche hanno sottolineato che gli interventi europei dovrebbero garantire liquidità immediata alle industrie della componentistica italiane per evitare una catena di fallimenti che finirebbero per bloccare per lungo tempo anche la produzione tedesca. La Germania, nonostante il calo registrato nel 2019, resta la più importante nazione produttrice d'auto in Europa con oltre 5,5 milioni di veicoli assemblati contro i circa 800.000 fabbricati in Italia.
Ma non è un segreto che nelle auto made in Germany ormai da anni ci sia una forte quota di pezzi made in Italy. Non a caso la componentistica italiana, articolata su oltre 2.000 imprese, comprese alcune multinazionali tascabili come la Brembo (freni) o la Adler (plastiche e interni), garantisce alla bilancia commerciale italiana un attivo superiore a 5 miliardi di euro.
Freni, pistoni, sistemi di pompaggio dei liquidi dei propulsori, componenti plastici degli interni fino a metà marzo venivano inviati via tir o via treno in Germania con una catena logistica assai sofisticata. Molte fabbriche automobilistiche tedesche (come del resto quelle di FCA in Italia) lavorano infatti secondo i sistemi produttivi just in sequence che - semplificando - prevedono una integrazione elevatissima fra fornitori e assemblatore con l'arrivo diretto lungo le linee di montaggio di componenti imballati già secondo l'ordine di fabbricazione dei vari modelli stabilito per ogni determinata giornata.
Filiere così integrate hanno bisogno di funzionare come orologi svizzeri per contenere i costi ma soprattutto si reggono su un'alta qualità del lavoro garantita dalle fabbriche italiane per abbassare verso quota zero errori e difetti. La crisi del coronavirus costituisce una prova durissima per l'industria automobilistica rimasta improvvisamente quasi senza mercato ma con sulle spalle il peso di costi fissi (vedi i grandi investimenti effettuati per la conversione all'elettrico) incomprimibili. La Volkswagen nei giorni scorsi aveva fatto trapelare che ogni settimana di blocco equivaleva a 2 miliardi di perdite nei propri bilanci.