Estratto dell’articolo di Flavia Landolfi e Vittorio Nuti per “Il Sole 24 Ore”
Per alcuni è stato un mezzo flop. Per altri una protesta “irrilevante” visto il già scarno numero di auto bianche in circolazione. Fatto sta che la serrata dei tassisti contro il decreto Asset, che punta ad aprire il mercato con un’iniezione di nuove licenze, ruota su un perno: la difesa di un business chiuso, contingentato, inespugnabile, fondato su un mercato delle licenze salatissime.
Andando a scavare nelle dichiarazioni dei redditi depositate al ministero dell’Economia e delle Finanze, emerge un quadro di crisi permanente. Che mal si concilia con le piazzole di sosta deserte e le code chilometriche di turisti e cittadini in attesa di un taxi nelle grandi città di questa estate.
Secondo i dati che vengono raccolti su base fiscale nel codice Ateco “49.32.10 - trasporto con taxi” e che tengono insieme le persone fisiche, società di persone, forfettari, società cooperative e società di capitali, i redditi annuali lordi dichiarati al fisco tra il 2017 e il 2019 sono inchiodati a poco sopra i 15mila euro, al mese in media poco più di 1.250 euro lorde al mese.
REDDITI DICHIARATI DAI TASSISTI
I numeri ballano ma di poco se si pensa che nel 2017 il reddito medio si attestava a 15.196 euro e che nel 2018 diventano 15.828, nel 2019 15.499. Nel 2020 la pandemia si fa sentire: i redditi crollano a 3.770 euro [...]
I livelli variano molto da città a città ma sono stabili per singolo Comune nel corso del tempo con l’eccezione del Covid, ovviamente. Nella Capitale per esempio si va dai 13.282 euro del 2017 ai 12.817 del 2019 passando per 13.843 euro del 2018. A Milano stessa musica: 19.766 euro per il 2017, 20.718 nel 2018 e 19.591 nel 2019. Chi dichiara di più sono i tassisti di Bologna con 20.298 euro nel 2019 che però nel 2017 erano 15.465 euro. I più “poveri” a Napoli: qui si è passati da 3.751 euro del 2017 a 6.275 euro del 2019, la metà di Roma.
Il business delle licenze
post di selvaggia lucarelli sui redditi dei tassisti
Il quadro va letto anche facendo i conti con il grande tema che in questi giorni ha tenuto banco nella polemica attorno al decreto Urso. Ed è un tema tutto italiano, per altro. Stiamo parlando del mercato delle licenze che secondo le stime delle direzioni regionali dell’agenzia delle Entrate riferite da Repubblica oscillano da un minimo di 140-150mila euro a Roma e a Milano a un massimo di 250mila euro a Firenze.
Cifre inavvicinabili se si considera che la media dei tassisti italiani nel 2019 ha guadagnato 1.291 euro lordi al mese. Eppure il mercato esiste ed è florido, al punto che fa gola anche ai primi cittadini che non vogliono perdere il 20% dei proventi delle nuove licenze.
La legge Bersani n. 248/2006 all’articolo 6 ha introdotto la possibilità per i Comuni di concedere i permessi «a titolo gratuito o a titolo oneroso». In quel provvedimento c’è anche la spartizione dei proventi delle vendite: 20% al Comune e 80% ai tassisti. Facciamo due conti. Considerando l’obiettivo del Campidoglio di rilasciare 1.000 nuove licenze permanenti, si tratta di un “giro” da 150 milioni di euro: 120 milioni nelle tasche dei “vecchi” tassisti e 30 milioni nelle casse del Comune.
In molti hanno storto la bocca sul business delle licenze, considerandolo il vero tappo alla liberalizzazione del settore. La vendita di titoli autorizzativi è possibile perché le licenze in Italia sono concesse sine die. Non hanno alcuna scadenza, diversamente da quel che accade in quasi tutti i Paesi europei. [...]
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