1 - INTRODUZIONE
Da “Agnelli Coltelli”, di Gigi Moncalvo (ed. Vallecchi) - ESTRATTO
Il 23 ottobre 2008 è stato ultimato un libro, commissionato e voluto direttamente da Margherita Agnelli, che solo pochissime persone hanno potuto vedere e avere tra le mani. Ancora meno sono coloro che l’hanno potuto leggere. Si intitola Les Usurpateurs, Gli usurpatori. Sottotitolo: La storia scandalosa della successione di Giovanni Agnelli.
Il manoscritto è in francese, in copertina c’è la facciata della casa in cui Edoardo e Margherita Agnelli sono cresciuti a Torino, in corso Oporto. Il libro porta il logo Édition des Syrtes, la casa editrice di Ginevra di Serge de Pahlen, il marito di Margherita Agnelli.
MARC HURNER - LES USURPATEURS - LA STORIA SCANDALOSA DELLA SUCCESSIONE DI GIOVANNI AGNELLI
L’autore è Marc Hürner, il consulente per l’intelligence finanziaria, che ha lavorato per Margherita per molti anni e poi, visto che i suoi preziosi consigli venivano disattesi o perfino seguiti al contrario, ha preferito occuparsi di altri grossi casi della sua agenzia e condurli in porto con successo, come ad esempio l’affaire di Bernard Tapie e del Crédit Lyonnaise in Francia.
Hürner vive a Bruxelles, è titolare della Fip, Financial Intelligence & Processing, guida un pool di esperti di ingegneria e investigazione finanziaria, di lotta contro la criminalità, la frode, il riciclaggio. È l’uomo che sa tutto sulla storia dell’eredità Agnelli, sulla consistenza del patrimonio estero dell’Avvocato, sui paradisi fiscali, su banche e finanziarie che custodiscono questo tesoro, su sigle societarie, fiduciari ed effettivi beneficiari, che in alcuni casi non coincidono con gli eredi, dato che Margherita non ha mai potuto accedere a questi beni. Hürner ha investigato sui buchi neri di questa storia e ha scoperto molte cose.
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Per quella versione dell’ottobre 2008 di Les Usurpateurs, Margherita Agnelli aveva scritto di suo pugno una prefazione con le ragioni che l’avevano spinta a rivolgersi al Tribunale civile di Torino. Le ragioni di allora sono anche quelle di oggi. Sono passati quattordici anni, ma il testo è sempre attuale. È cambiato solo il nome di qualche avvocato. E la situazione si è fatta ancor più complicata ed esasperata.
2 - «UNA SETTA, UN SISTEMA MAFIOSO»
Introduzione di Margherita Agnelli a “Les Usurpateurs”, di Marc Hürner, Édition des Syrtes
Perché io, Margherita, figlia di Giovanni Agnelli, ho deciso nel maggio 2007 di chiedere alla Giustizia italiana di ottenere dai consiglieri di mio padre la composizione reale e completa del suo patrimonio e della sua gestione negli ultimi anni della sua vita?
MARGHERITA AGNELLI E JOHN ELKANN
Semplicemente perché io ne sono oggi responsabile come legittima erede. Perché il 18 dicembre 2003, mi è stato fatto firmare un documento intitolato Proposta accettata le cui prime righe manoscritte erano «io accetto, pour gain de paix» e cioè per spirito di conciliazione, per avere la pace. E io ho firmato in nome di questa conciliazione, di questa pace tanto cercata, tanto attesa ma che non arriverà.
Si è venuto a sapere che queste parole non sono state riportate nella Transaction finale firmata il 18 febbraio 2004. Io ho firmato il 18 dicembre 2003 davanti a mia madre che continuava a non salutarmi da un anno e che fece lo stesso quel giorno. Avrei dovuto diffidare di più, ma invece mi sono fidata, ho avuto fiducia.
Fiducia negli avvocati, uno dei quali (Emanuele Gamna) è stato un amico d’infanzia che sembrava così vicino a noi. L’amore per la mia famiglia mi ha spinto ad accettare la divisione di ciò che sembrava essere il patrimonio di mio padre cosicché tutti vi trovassero il proprio tornaconto. Altrimenti, è ovvio, niente pace.
Sono andata perfino oltre poiché mi sono fidata della mia famiglia credendo che le questioni che ci riguardano sarebbero rimaste tra noi, nelle nostre mani, parlandone tra noi come è sempre stato per i nostri affari personali. Un affare di famiglia come una complicata successione non può essere regolato nel segreto, nel tabù, nel silenzio, nell’intrigo e nell’intelligenza offuscata e stordita dalla confusione e dalla paura. Prima si esce da questa paura, da questo orrore, e dopo sarà possibile ritrovare i nostri spiriti.
gianni agnelli con la moglie marella e i figli edoardo e margherita
È stato molto peggio di quanto avrei potuto immaginare poiché la strada di non-ritorno era stata tracciata. La zizzania, i malintesi hanno devastato il paesaggio, la paura ha preso il posto della fiducia: questo elemento indispensabile per un buon rapporto con i miei figli era scomparso.
Ero diventata, a leggere certa stampa e a sentire le malelingue, agli occhi di tutti i miei figli, un mostro che aveva distrutto la propria famiglia spinta dalla sete di guadagno. «Defraudare mia madre» come hanno scritto certi giornalisti per ben caricaturare l’orrenda persona che io ero nel grande calderone molto borderline del patrimonio familiare.
E, per mettermi a tacere, hanno anche scritto che hanno dovuto darmi molti, molti soldi. La confusione delle intenzioni, la maleducazione se non l’assurdità e la villania mi hanno spinto a chiarire la situazione per cercare di ritrovare quel mondo cortese e benevolo che era stato il mio, almeno ai miei occhi e nel ricordo di molte altre persone.
margherita agnelli e gianni agnelli
I miei due avvocati, a ragione, si dicevano impotenti a porre rimedio a tutto ciò. Li mettevo continuamente al corrente della mia profonda perplessità riguardo alla situazione, ma il muro del silenzio e dell’indifferenza si erigeva tranquillamente, sotto i miei occhi, senza una piega. Mi dicevano senza sosta che io dovevo smetterla di porre e pormi domande perché tutto era sistemato.
Io volevo semplicemente sistemare le mie cose e andare avanti, per poter organizzare, tra l’altro, il mio lavoro secondo un certo ordine che mi pareva logico. Infatti, volevo regolare la mia successione.
margherita agnelli e gianni agnelli 1
Siamo alla fine di maggio del 2004 ma i miei avvocati eludono il problema: ciò non è più di loro interesse. Hanno ricevuto il loro ricco compenso di 25 milioni di euro, intascato l’assegno e per loro era finita, si fermavano lì. Questa somma di denaro era stata evocata proprio alla fine delle negoziazioni come un success fee.
Una volta firmato l’accordo, la parte avversa, senza che si sappia troppo chi potesse essere davvero, ha aggiunto al conto finale, come indennizzo, una somma supplementare di venti milioni per il mancato profitto sulla copertura o non-copertura degli averi in dollari del patrimonio. Non era molto chiaro.
Un colpo da maestro! Poiché sono io a dover pagare i miei avvocati col denaro venuto non si sa da dove su un conto della Pkb Privatbank che ha sede a Lugano e di cui il mio avvocato Jean Patry è presidente.
il matrimonio tra margherita agnelli e alain elkann
A partire dal mese di ottobre 2003 tutte le tracce delle riunioni che hanno avuto luogo fino a quel momento scompaiono. Le nuove riunioni si svolgono quasi o del tutto senza verbale: non c’è più bisogno di archiviare, il cliente è la parte avversa. Mi ci sono voluti anni per rendermene conto.
D’altronde, i miei due avvocati mi hanno detto di essere stati contattati da Grande Stevens fin dalle prime riunioni e che lui ha fatto capire loro di potersi fare carico dei loro onorari in maniera consistente. Essi mi hanno allora dichiarato, con la mano sul cuore, che non avrebbero mai accettato. Ma mi consigliarono di lasciarli far finta che avrebbero accettato poiché in quel modo avrebbero, con un po’ di fortuna, ricavato delle informazioni.
margherita agnelli e gianni agnelli 1
Ovviamente mi sono opposta ma, grazie al loro savoir faire dissuasivo e pieno di una saggia autorità quasi paterna, dissi a me stessa che forse avevano ragione. Dalila è riuscita ad avere Sansone con l’astuzia sì, ma soprattutto con la fatica, con un tormento infinito: e lui le ha rivelato il segreto della sua forza. E così si è arrivati a quella scellerata convenzione del 18 febbraio 2004.
margherita agnelli e gianni agnelli 2
Ed eccomi, come vi dicevo, nel mezzo di un guado. Avevo detto loro che lo scopo non era stato raggiunto e che ne avevo il presentimento sin dall’inizio benché questo scopo fosse di una semplicità evidente: bisognava semplicemente mettere in chiaro, tra me e mia madre, il patrimonio di mio padre perché era importante per tutte le persone coinvolte che fosse identificata e rispettata la comunione dei beni.
SERGE DE PAHLEN - MARIA CON LA FIGLIA ANASTASJA - MARGHERITA AGNELLI
Mi sembrava logico: altrimenti come potevamo noi restare in comunione? Nel Codice civile italiano si parla giustamente di una comunione di eredità, proprio perché questa condivisione ci arricchisce della vita dell’altro, dello scomparso: lo condividiamo insieme nella vita, nei ricordi, nell’amore che abbiamo avuto per lui, in quello che ci ha lasciato. È anche una questione di responsabilità reciproca essere coscienti di un bene, è un dovere con cui sono cresciuta e un diritto che, semplicemente, mi tocca in eredità.
MARGHERITA AGNELLI E I DE PAHLEN A CALVI
Nel preambolo della transazione del 18 febbraio 2004, si dice che le parti (io e mia madre) riconoscono che una controversia è sorta in relazione della successione di mio padre (Signor X) e che io ritengo di non essere stata informata in maniera precisa sulla consistenza del patrimonio del Signor X e sulle donazioni che quest’ultimo avrebbe potuto fare, sia riguardo ai beneficiari delle suddette donazioni, sia riguardo il loro ammontare.
franzo grande stevens john elkann sergio marchionne
Per stanchezza e, soprattutto, stremata da un tale dolore per aver perso mio padre, mia madre, mio fratello, i miei tre figli maggiori, cedo in nome di questa famosa pace. Il diritto così sigillato e muto e le orecchie dei miei due avvocati non vogliono proprio capirlo.
margherita agnelli ginevra elkann
È a questo punto che mi decido ad andare a cercare un altro consiglio giuridico per regolare la mia successione. Siamo a maggio del 2005. Questo nuovo consiglio, dopo alcuni piacevoli incontri mi dice che sarà molto difficile, persino impossibile, mettere in piedi qualsiasi struttura per la mia successione poiché, essendo già io stessa nell’ombra, in generale questi problemi si ripercuotono sulla generazione futura.
Bene, adesso abbiamo un secondo avvocato che viene ad accompagnare il primo.
Stavolta è lo specialista delle successioni, in particolare della brillantissima successione di Heini Thyssen che è costata in onorari più della successione stessa, a quanto ho sentito dire dopo. Un ometto intelligente e vivace che prende molti appunti e documenti, li studia e per lui tutto si chiarisce, ma in realtà mi mette in un bel pasticcio.
Ad ogni modo, voglio solamente mettere in chiaro questa ripartizione, di modo che io possa a mia volta condividere e organizzare il mio lavoro di conseguenza. Eh no, quanto vuole, Signora? Cento, duecento, trecento? Qual è il suo prezzo? Stupefatti, io, mio marito Serge e il responsabile del family office, ci guardiamo, non abbiamo mai chiesto soldi, ma solo un semplice rendiconto e tutto ciò di cui ho bisogno per strutturare il family office.
Dopo aver tentato più volte di parlare di una cifra negoziabile, è stato chiaro che una sola cosa era necessaria a ristabilire l’ordine: il rendiconto.
A questo proposito, Gianluigi Gabetti è stato contattato e la sua risposta fu che «lui non ha niente a che vedere con questa storia, non è mai stato al corrente di nulla, ma mi fa sapere che posso serenamente occuparmi della spartizione tra i figli de Pahlen, poiché noi ci incarichiamo degli altri».
GIANNI AGNELLI E GIANLUIGI GABETTI
«Noi chi?». mi sono permessa di chiedergli, ma questa domanda non ha avuto risposta.
A tal fine, i miei primi tre figli non dovevano fare altro che firmare una convenzione in cui dichiaravano di rinunciare a essere miei eredi. Rinunciavano molto semplicemente a dei diritti che non conoscono nemmeno poiché per la Costituzione italiana, per degli italiani residenti in Italia, è questo il caso dei miei primi tre figli, è un atto considerato nullo. Senza aggiungere che quel noi si arrogava il diritto, ancora una volta, di usurpare i miei diritti, prima di figlia di Giovanni Agnelli e ora di madre. Di nuovo la divisione e non la condivisione!
GIANLUIGI GABETTI E SERGIO MARCHIONNE
Visti questi fatti, chiamo mio figlio Lapo per augurargli buon compleanno e ne approfitto per dirgli che vorrei rivederlo, passare qualche tempo con lui visto che non era più accaduto dopo la morte di mio padre. Siamo già a ottobre 2005, quasi tre anni dopo. Con mio stupore, mi risponde che non può parlarmi né vedermi fino a quando non avrò fatto la pace con suo fratello Jaki!
Cado dalle nuvole perché la transazione del 18 febbraio 2004 era stata firmata né più né meno per «gain de paix», per spirito di conciliazione, conferendo proprio a lui, in particolare a Jaki, sacri vantaggi; e dunque «di che cosa mi parli adesso?».
«Tu devi fare la pace» sono le sue ultime parole, e riattacca. Resto sbalordita. Tutti i miei tentativi di regali, lettere per i compleanni, Natale, Pasqua, sono rimasti lettera morta.
Devo prima fare la pace! Due giorni più tardi, Lapo è in coma per overdose.
Nessuno mi chiama: è l’avvocato amico che me lo fa sapere. Scendo immediatamente nonostante le dissuasioni e l’accoglienza glaciale che ricevo nella casa che fu di mio padre, dove ci sono tanti ricordi; sono pietrificata.
john e lapo elkann foto mezzelani gmt 221
Lapo, al risveglio del coma, non vuole vedermi; gira la testa. Quando sente che suo fratello mi parla, allora gli chiede: «Perché se tu le parli, io non posso?».
In questi momenti tragici, di una violenza psicologica intensa che conoscono solo le vittime di dipendenze e le loro famiglie, ma anche l’enorme amore che questi esseri umani hanno la capacità di generare per guarire il male delle ferite che portano, abbiamo avuto un momento di tregua che mi ha permesso di tornare a Torino dalla mia famiglia.
LAPO ELKANN E IL VACCINO - MEME
Quel momento fu decisivo perché tutto ad un tratto mi sono resa conto di aver abbandonato i miei figli ad un sistema: non li avevo resi liberi accettando di vederli allontanarsi ma, al contrario, prigionieri di un mondo opaco, viscido, in cui tutto è sorvegliato, ascoltato, senza la minima libertà e in cui si è incessantemente giudicati e, se necessario, isolati.
Io denuncio la setta, un sistema mafioso. Dico all’avvocato Jean Patry: «Sono sconvolta» e non c’è la minima emozione. Le sue uniche parole di conforto sono che devo stare zitta e soprattutto che non devo pormi più domande!
Lo dico a Maître Vogt, il piccolo avvocato, il nuovo. Lo dico ovunque, laddove i miei deboli mezzi me lo permettano, a chi vuole o può intenderlo.
Oggi, lo dico chiaramente in queste pagine, poiché so bene che questo silenzio ostinato che già mio padre interponeva come una barriera tra lui, i suoi affari e la sua famiglia, non aveva niente di buono. Silenzio che il Signor Vogt mi ha assestato nel 2006 dopo 18 mesi di lavoro, dopo aver esaminato ogni angolino, ogni foglio del dossier, dopo averlo portato con sé nel suo ufficio. Mi annuncia all’improvviso l’inconveniente di un conflitto di interesse insorto inopinatamente con il gruppo Fiat.
Incredibile ma vero.
Un certo Gandini, genero di Franzo Grande Stevens, si fa allora portavoce del gruppo Agnelli per farmi sapere che Marchionne vuole avere lo studio di avvocati Bär & Karrer per curare gli interessi del gruppo Agnelli ma, ovviamente, essi devono decidere se vogliono continuare con me, dato che esiste un conflitto d’interesse!
Oggi, Bär & Karrer è anche l’avvocato dell’Ubs di cui Sergio Marchionne è amministratore, ovvio, no? Quali interessi... Anche se, deontologicamente, non è corretto.
Giovanni Agnelli con Lapo e John Elkann
Eccoci alla casella di partenza e a questo silenzio o mutismo, ma non è per niente la stessa cosa. Questo silenzio pesante e impenetrabile che solo verso la fine della sua vita mio padre cominciò a sfumare, facendo emergere una parvenza d’ordine nei suoi affari. I suoi ordini non sono stati eseguiti, Gianluigi Gabetti si defilava, Siegfried Maron ha detto delle cose completamente differenti da quanto si è scoperto nella gestione dei profitti di mio padre.
In linea di principio avrei dovuto occupare l’ufficio di Ginevra del gruppo Agnelli (Sacofint) così come mio marito, ma guarda caso, l’affitto era giunto a scadenza e visto che la congiuntura era così difficile, il Signor Gabetti aveva giusto potuto conservare il suo ufficio, la sala riunioni e qualche piccolo ufficio per la sua segretaria e qualche collaboratore di passaggio.
Ma niente più spazio per me e mio marito!
Non c’era più spazio. Oggi gli uffici sono stati spostati in un grande e comodo edificio, giusto a due minuti a piedi dalla casa di Gabetti, per i suoi eletti e sempre gli stessi collaboratori fedeli che in realtà non sono di passaggio.
LAPO ELKANN A ST MORITZ IN RIABILITAZIONE
L’ufficio di Zurigo (Sadco) suggerisce allora a mio padre che noi possiamo andarci una volta a settimana ogni quindici giorni per fare il punto con la Signora Ursula Schulte e il Signor Siegfried Maron. Invece no, non sarà possibile perché ci sono dei lavori in quel momento, ma appena la sistemazione sarà terminata, Gianluigi Gabetti dice che ce lo avrebbe fatto sapere.
Come sono stata ingenua e piena di fiducia.
Poi è arrivata la malattia di mio padre e le cose, ma soprattutto le persone, hanno organizzato il loro ordine, ma non quello che mio padre avrebbe voluto.
Oggi, quello che mi lascia stupefatta non è la mia ingenuità, né la mia fiducia, ma la malafede, l’astuzia, la violenza morale e psicologica, la disonestà innata o l’incompetenza con cui tutto quest’affare è stato condotto.
Ringrazio Marc Hürner e il suo team di aver messo i puntini sulle i e di aver pazientemente smontato la macchina e i meccanismi della manipolazione. Ci sono voluti degli anni, nessun avvocato tranne Charles Poncet ha voluto rivolgersi ad un analista finanziario. La ripartizione della successione è stata fatta, come si dice, su misura. Viste le perdite umane, morali, affettive e psicologiche sul tessuto familiare, non so bene come definire gli uomini che hanno tramato per escludermi dalla famiglia e per prendere un posto smisurato che non apparteneva loro.
Se provo a mettere in chiaro gli affari e i conti e, perché no, le menzogne che mi riguardano, è per pura necessità di vita, per il rispetto che porto a questa vita, per me stessa e per tutte le persone che ne sono coinvolte.
Un comportamento borderline è una strategia di vita, come molte delle nostre patologie. È di questo che si tratta a proposito della struttura finanziaria del gruppo Agnelli come appariva ai miei occhi. Essa ha una disfunzione.
Negli ultimi anni, tra le brigate rosse, il comunismo, la paura e la confusione, sono state allestite delle strutture per la protezione di un importante capitale o patrimonio familiare. Sono convinta che la gestione e il controllo del gruppo Agnelli, divenuti troppo complessi sotto molti aspetti, siano d’un tratto sfuggiti al controllo e alle mani di mio padre nel contesto generale dell’ormai famosa operazione Mani pulite (1992) in cui molti credevano di dover essere i prossimi ad essere colpiti.
LAPO E JOHN ELKANN CON LAVINIA BORROMEO FOTO ANSA
Non è stato per niente divertente. Vi posso assicurare che è spossante vedere tutte le persone preoccupate, morire l’uno dopo l’altro, farsi sostituire da un vuoto di storia e di coscienza, di paura e di mutismo.
Chi governava allora il gruppo Agnelli?
Chi governava, più precisamente, durante i dieci mesi di agonia di mio padre?
Nessuno!
È la risposta: non se ne sa niente!
È il castello de La bella addormentata nel bosco. Tutti dormono un sonno
profondo sul trono dell’oblio ben controllato dal bravo Cerbero.
Nessuno sa, i documenti sono tutti stati bruciati, dicono Voser, Maron e Schulte: sì, tutto è stato bruciato, non c’è più alcuna traccia, nulla. È l’amnesia generale e l’euforia imperante.
Forse, perlomeno, le tracce di luce che abbiamo tentato di seminare sul lungo cammino potranno aiutare a comprendere meglio, quando tutto si fa nero, incomprensibile, opaco e ingiusto, che la coscienza è una forza di vita che ci aiuta a vedere. Senza questa luce non possiamo perdonare tutto il nostro passato per vivere in pace con noi stessi e con gli altri.
Questo libro non è una denuncia ma una constatazione dei fatti che mi sento in dovere di condividere con chiunque si senta coinvolto.